In applicazione del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto, la “condizione di adempimento”, sospensiva o risolutiva, si considera non avverata nel momento in cui la mora del soggetto obbligato abbia assunto il carattere di un inadempimento di non scarsa importanza, per la volontà delle parti di ritenere perduta l’utilità economica del contratto con il vano decorso del termine di adempimento, il cui accertamento, da condursi alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell’oggetto del contratto, è riservato al giudice di merito. Cass. civ., sez. , I 10 novembre 2015, n. 22951
La norma dell’art. 1359 c.c., secondo cui la condizione del contratto si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario al suo avveramento, non è applicabile nel caso in cui la parte tenuta condizionatamente ad una determinata prestazione abbia anch’essa interesse all’avveramento di essa. La condizione può ritenersi apposta nell’interesse di una sola delle parti contraenti soltanto quando vi sia un’espressa clausola contrattuale che disponga in tal senso ovvero allorché – tenuto conto della situazione riscontrabile al momento della conclusione del contratto – vi sia un insieme di elementi che nel loro complesso inducano a ritenere che si tratti di condizione alla quale l’altra parte non abbia alcun interesse; in mancanza, la condizione stessa deve ritenersi apposta nell’interesse di entrambi i contraenti. Cass. civ., sez. , I 3 luglio 2013, n. 16620
Nell’ipotesi di negozio condizionato, per l’operatività dell’art. 1359 cod. civ., in virtù del quale la condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario al suo avveramento, è necessaria la sussistenza di una condotta dolosa o colposa di detta parte, non riscontrabile nel caso di mero comportamento inattivo, salvo che questo non costituisca violazione di un obbligo di agire imposto dal contratto o dalla legge. Cass. civ., sez. , lav. 11 aprile 2013, n. 8843
La norma dell’art. 1359 cod. civ., secondo cui la condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento di essa, trova applicazione nella sola ipotesi di condizione casuale (il cui avveramento dipende, cioè, dal caso o dalla volontà di terzi) o di condizione mista (il cui avveramento dipende in parte dal caso o dalla volontà dei terzi, in parte dalla volontà di uno dei contraenti), ma non nell’ipotesi di condizione potestativa semplice o impropria. (Omissis). Cass. civ., sez. , lav. 4 aprile 2013, n. 8172
L’art. 1359 c.c., in forza del quale la condizione si ha per avverata se è mancata per causa imputabile alla parte controinteressata al suo avveramento, non si riferisce solo a coloro che, per contratto, apparivano avere interesse al verificarsi della condizione, ma anche ai comportamenti di chi in concreto ha dimostrato, con una successiva condotta, di non avere più interesse al verificarsi della condizione, ponendo in essere atti tali da contribuire a far acquistare al contratto un elemento modificativo dell’”iter” attuativo della sua efficacia. Detta norma è applicabile anche alla c.d. condizione potestativa mista, il cui avveramento dipende in parte dal caso e in parte dalla volontà di uno dei contraenti. Cass. civ., sez. , II 18 novembre 2011, n. 24325
L’art. 1359 c.c. consente attraverso una fictio di avveramento, di ritenere il contratto efficace quando il fatto impeditivo del verificarsi della condizione sia determinato da un comportamento imputabile a titolo di dolo o colpa al soggetto controinteressato in tal modo sanzionando le condotte contrarie a correttezza e buona fede che influiscono sulla pendenza della condizione al fine di mantenere integre le ragioni dell’altra parte. Lo stabilire se il mancato avveramento si debba attribuire a causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario, per trarne la conseguenza di considerare la condizione come avverata, involge una indagine di mero fatto il cui risultato è insindacabile in sede di legittimità, se non ricorrono vizi logici o errori di diritto. Cass. civ. sez. lav. 16 ottobre 1998, n. 10265
Quando l’efficacia (o la risoluzione) di un contratto sia subordinata ad un avvenimento futuro ed incerto, il comportamento di una parte che avendone interesse abbia impedito l’evento assume rilievo ai sensi dell’art. 1359 c.c., solo se la condizione è apposta nell’interesse dell’altra parte, in quanto nell’ipotesi di condizione bilaterale, entrambi i contraenti hanno necessariamente interesse a che la condizione pattuita a favore di ciascuno di essi si avveri. In quest’ultimo caso non trova applicazione l’art. 1359 c.c. che considera equivalente all’avverarsi della condizione il suo non verificarsi in dipendenza del comportamento positivo del contraente titolare di un interesse contrario. Cass. civ. sez. II 20 novembre 1996, n. 10220
Nell’ipotesi di negozio condizionato, per l’operatività della disposizione di cui all’art. 1359 codice civile – a norma della quale la condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento di essa – è necessaria la sussistenza di una condotta dolosa o colposa di detta parte, non riscontrabile in un semplice comportamento inattivo, salvo che questo non costituisca violazione di un obbligo di agire imposto dal contratto o dalla legge. Cass. civ. sez. lav. 9 agosto 1996, n. 7377
L’art. 1359 c.c. secondo cui la condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento di essa, è norma eccezionale in quanto prevede una fictio iuris, che non è suscettibile di interpretazione analogica, con la conseguenza che non può considerarsi non avverata la condizione nell’opposta ipotesi dell’avveramento della condizione per fatto imputabile alla parte che aveva interesse all’avveramento stesso. Cass. civ. sez. II 16 dicembre 1991, n. 13519. Rientrano nell’ambito di operatività dell’art. 1359 c.c., malgrado la formulazione letterale della norma, sia le condizioni sospensive che le risolutive, e sia le condizione positive che le negative. Pertanto, nel caso in cui un contratto sia assoggettato a condizione risolutiva e l’evento dedotto in condizione sia il mancato accadimento di un certo fatto entro un tempo determinato, la detta disposizione implica che il contratto non possa considerarsi risolto, anche se il fatto non sia tempestivamente accaduto, qualora il mancato accadimento sia casualmente ricollegabile ad un comportamento imputabile, a titolo di dolo o di colpa, al contraente che aveva interesse alla risoluzione. Cass. civ. sez. II 6 giugno 1989, n. 2747
La parte avente interesse contrario all’avveramento della condizione va individuata con riferimento alla natura del negozio condizionato e alla posizione in esso assunta dalle parti, non rilevando la circostanza che una di loro tragga vantaggio immediato e diretto dal verificarsi dell’evento dedotto in condizione quando tale evento determinerebbe con la sopravvenuta efficacia o risoluzione del contratto – a seconda che si tratti di condizione sospensiva ovvero risolutiva – una situazione, nell’ambito del rapporto giuridico condizionato, sfavorevole allo stesso soggetto sicché si debba in concreto ritenere che egli avesse un interesse contrario all’avveramento della condizione. Cass. civ. sez. III 5 novembre 1985, n. 5360
In materia di elementi accidentali del contratto, l’onere di provare l’avveramento della condizione grava su colui che afferma il suo verificarsi, anche nell’ipotesi della “fictio” di cui all’art. 1359 c.c., ove si considera avverata qualora essa sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario al suo verificarsi. Cass. civ., sez. , II-, 19 settembre 2019, n. 23417
Colui che si è obbligato a trasferire un bene sotto la condizione sospensiva dell’ottenimento di determinate autorizzazioni o concessioni amministrative ha il dovere di conservare integre le ragioni della controparte, comportandosi secondo buona fede, compiendo, cioè, tutte le attività, che da lui dipendono, per l’avveramento di siffatta condizione, le quali tuttavia non possono implicare il sacrificio dei suoi diritti o interessi, in particolare imponendo l’accettazione del mutamento dell’equilibrio economico delle prestazioni stabilito nel contratto, posto che l’obbligo di buona fede è semplicemente volto ad impedire (e non a provocare) ai contraenti un minor vantaggio ovvero un maggior aggravio economico. Cass. civ., sez. , II 25 gennaio 2018, n. 1887
Qualora l’acquisto della proprietà immobiliare sia subordinato alla condizione sospensiva del rilascio della concessione edilizia, la verifica dell’avveramento dell’evento dedotto in condizione si estende alla valutazione della legittimità della concessione edilizia rilasciata poiché, nelle controversie tra privati derivanti dall’esecuzione di opere edilizie non conformi alle prescrizioni di legge o degli strumenti urbanistici, ciò che rileva è la lesione di diritti soggettivi attribuiti ai privati dalle norme medesime, mentre la rilevanza giuridica della concessione edilizia si esaurisce nell’ambito del rapporto pubblicistico tra P.A. e privato richiedente. Cass. civ., sez. , II 18 marzo 2015, n. 5411
In materia di clausola condizionale, allorché il pagamento di parte del compenso dovuto ad un professionista (nella specie, un architetto) per la prestazione d’opera intellettuale dallo stesso espletata sia subordinato al rilascio di un provvedimento amministrativo (nella specie, concessione edilizia), trova applicazione l’istituto della finzione di avveramento della condizione, ex art. 1359 cod. civ., anche quando l’interesse della controparte, inizialmente convergente con quello del professionista, si modifichi nel corso del rapporto, fino a risultare contrario all’avveramento della condizione (nella specie, a seguito del ritiro dell’istanza volta al rilascio della concessione). Cass. civ., sez. , III 18 luglio 2014, n. 16501
La parte che si è obbligata o ha alienato un bene sotto la condizione sospensiva del rilascio delle autorizzazioni amministrative necessarie alle finalità economiche dell’altra parte deve compiere, secondo buona fede, tutte le attività che da lei dipendono per l’avveramento della condizione, senza impedire che la P.A. provveda sul rilascio delle autorizzazioni, potendo l’altra parte, in caso contrario, chiedere la risoluzione del contratto e il risarcimento dei danni, da accertare con il criterio della regolarità causale, ove risulti, in base alla situazione esistente nel momento in cui si è verificato l’inadempimento, che la condizione avrebbe potuto avverarsi, mediante il legittimo rilascio delle autorizzazioni. Cass. civ., sez. , II 12 febbraio 2014, n. 3207
Qualora le parti, al momento della stipulazione del contratto, abbiano sottoposto l’efficacia di una o più clausole del medesimo all’avverarsi di una condizione sospensiva costituita dal conseguimento di un provvedimento amministrativo, al fine di valutare, ai sensi dell’art. 1359 c.c., se tale condizione si possa considerare come avverata, la prova non può avere ad oggetto la certezza che il provvedimento amministrativo vi sarebbe stato, ma solo lo stabilire se, in quella determinata situazione, la conclusione positiva del procedimento amministrativo fosse o meno da ritenere possibile. Cass. civ., sez. , II 15 giugno 2011, n. 13099
L’art. 1359 c.c. – a norma del quale la condizione si ha per avverata se è mancata per causa imputabile alla parte interessata al non avveramento – si applica anche quando l’evento futuro sia il rilascio di una concessione amministrativa, ove risulti accertato che, senza il comportamento della parte suddetta, la concessione sarebbe stata emanata. Né la circostanza che una condizione è apposta in favore di una parte ne esclude quando l’interesse di questa, eventualmente sopravvenuto, al non avveramento, sicché resta fermo il potere-dovere del giudice del merito di identificare quale sia la parte che in concreto, violando gli obblighi di correttezza, con il suo comportamento, colposo o doloso, ha contribuito a modificare l’iter attuativo del contratto. Cass. civ. sez. II 27 febbraio 1998, n. 2168
Ove le parti subordinino gli effetti di un contratto preliminare di compravendita immobiliare alla condizione che il promissario acquirente ottenga da un istituto bancario un mutuo per potere pagare in tutto o in parte il prezzo stabilito, tale condizione è qualificabile come “mista”, dipendendo la concessione del mutuo anche dal comportamento del promissario acquirente nell’approntare la pratica. La mancata erogazione del prestito, però, comporta le conseguenze previste in contratto, senza che rilevi, ai sensi dell’art. 1359 c.c., un eventuale comportamento omissivo del promissario acquirente, sia perché questa disposizione è inapplicabile qualora la parte tenuta condizionatamente ad una data prestazione abbia interesse all’avveramento della condizione (cd. condizione bilaterale), sia perché l’omissione di un’attività in tanto può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto essa costituisca oggetto di un obbligo giuridico, e la sussistenza di un siffatto obbligo deve escludersi per l’attività di attuazione dell’elemento potestativo in una condizione mista. Cass. civ., sez. , II 11 settembre 2018, n. 22046
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