Il principio secondo cui, ai fini della configurabilità di un definitivo vincolo contrattuale, è necessario che tra le parti sia raggiunta l’intesa su tutti gli elementi dell’accordo non potendosene ravvisare pertanto la sussistenza laddove, raggiunta l’intesa solamente su quelli essenziali, ancorché riportati in apposito documento, risulti rimessa ad un tempo successivo la determinazione degli elementi accessori non impedisce, nei singoli casi ed in base al generale principio dell’autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 c.c., di ritenere concluso un contratto, con gli effetti di cui all’art. 1372 c.c., allorquando, alla stregua della comune intenzione delle parti, si possa ritenere che queste hanno inteso come vincolante un determinato assetto, anche se per taluni aspetti siano necessarie ulteriori specificazioni, il cui contenuto sia però da configurare come mera esecuzione del contratto già concluso, potendo costituire oggetto di un obbligo che trova la sua fonte proprio nel contratto stipulato. Cass. civ. sez. I 22 settembre 2008, n. 23949
Per la sussistenza di una scrittura privata contrattuale è necessario che dal documento emerga il reciproco consenso delle parti per costituire, regolare od estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale, ma non che si adottino particolari formule per esprimere tale consenso, che può essere manifestato da uno dei contraenti con la semplice sottoscrizione «per accettazione» delle dichiarazioni fatte in prima persona dall’altro; nè occorre che l’incontro delle volontà sia contestuale, potendo esso risultare da documenti diversi, anche cronologicamente distinti, ed essendo al pari possibile che uno stesso documento, originariamente sottoscritto da una sola parte, venga sottoscritto in un secondo tempo dall’altra, oppure che questa, senza sottoscriverlo, lo produca in giudizio con il dichiarato intento di avvalersi del contenuto negoziale di esso nei confronti del suo autore. Cass. civ. sez. III 23 dicembre 2004, n. 23966
L’accordo su alcuni punti essenziali del contratto non esaurisce la fase delle trattative, perché, al fine di porre in essere un definitivo vincolo contrattuale, è necessario che tra le parti sia raggiunta l’intesa sugli elementi, sia principali che secondari, dell’accordo, tranne il caso che le parti abbiano dimostrato di non volere subordinare la perfezione del contratto al successivo accordo su un determinato elemento complementare e sussidiario, nel qual caso, data la comune intenzione delle parti, basta, per la perfezione del contratto, che il consenso sia stato raggiunto sugli elementi essenziali del contratto stesso. Cass. civ. sez. II 29 marzo 1995, n. 3705
L’accordo delle parti, ai fini della conclusione del contratto, può considerarsi inesistente solo quando sia impossibile la giuridica identificazione di una espressione della volontà comune che, sorretta da comune intenzione, abbia forza di legge tra le parti, e non anche nei casi in cui il consenso sia solo viziato o minato da errore. Cass. civ. sez. III 22 marzo 1993, n. 3378
Il principio, in base al quale il sorgere del vincolo contrattuale postula che l’accordo delle parti sia raggiunto su tutte le clausole che concorrono a formarlo, trova attenuazione con riguardo al contratto preliminare, al cui perfezionarsi è sufficiente l’accordo sugli elementi essenziali, potendo le parti rimettere al contratto definitivo la regolamentazione degli elementi accessori. Cass. civ. sez. II 6 giugno 1983, n. 3856
Il silenzio costituisce normalmente un fatto equivoco, e per assurgere ad elemento di prova, contro la parte nei cui confronti si invoca, occorre che la stessa sia tenuta a rispondere in base all’uso comune e al comune apprezzamento, così che la mancata risposta debba sicuramente ed univocamente significare adesione alla volontà manifesta dall’altra parte. Cass. civ. sez. III 3 giugno 1978, n. 2785
Il silenzio di chi abbia interesse a contraddire, e si trovi nella possibilità di farlo, può assurgere a manifestazione tacita di volontà, produttiva di effetti giuridici, ove concorrano peculiari circostanze e situazioni, oggettive e soggettive, che diano un univoco significato al silenzio medesimo. (Nella specie, i giudici del merito avevano ritenuto che il protratto silenzio del committente di determinati lavori, a fronte dell’invio di fatture e di numerose lettere di sollecito da parte dell’esecutore di quei lavori, valutato unitamente alla circostanza che fra le medesime parti erano successivamente intervenuti altri rapporti contrattuali, assumeva il valore di accettazione dei prezzi portati da dette fatture e di riconoscimento della loro conformità ai patti contrattuali. La Suprema Corte, premesso il principio di cui sopra, ha ritenuto corretta la statuizione). Cass. civ. sez. II 12 aprile 1977, n. 1367
In tema di perfezionamento dell’accordo negoziale, il documento contenente la puntuazione ancorché completa e bilaterale dell’assetto degli interessi che le parti intendono adottare, è inidoneo a fornire la prova del perfezionamento del contratto, costituendo mera presunzione semplice, superabile mediante la prova contraria, fornita con ogni mezzo, non esclusa la prova testimoniale, ammissibile anche quando l’accertamento dell’attuale vincolatività dell’accordo riguardi un contratto preliminare di compravendita immobiliare. Cass. civ. sez. II 2 dicembre 2008, n. 28618
In tema di minuta o di puntuazione del contratto, l’indagine del giudice deve accertare se le parti abbiano inteso porre realmente in essere il rapporto contrattuale sin dal momento dell’accordo, oppure se la loro intenzione sia stata quella di differire la conclusione del contratto ad una manifestazione successiva di volontà. A tal fine, la valutazione del giudice deve prevalentemente incentrarsi sul documento in ordine al quale si è formato l’accordo delle parti, fermo restando che la parte ha la più ampia facoltà di provare con elementi extratestuali il mancato perfezionamento del contratto e che le risultanze istruttorie, comunque ottenute e quale che sia la parte ad iniziativa della quale sono formate, concorrono tutte ed indistintamente alla formazione del convincimento del giudice. Cass. civ. sez. III 14 luglio 2006, n. 16118
È nozione di comune esperienza che, nel corso delle trattative prodromiche alla conclusione del contratto, le parti assumono posizioni diverse e prospettano soluzioni varie, svolgendo le argomentazioni di cui il testo definitivo costituisce espressione della sintesi convenzionalmente raggiunta ed accettata, solamente a quest’ultimo occorrendo fare, peraltro, riferimento al fine di stabilire i rispettivi diritti ed obblighi. Cass. civ. sez. III 12 dicembre 2005, n. 27338
Ai fini della configurabilità di un definitivo vincolo contrattuale è necessario che tra le parti sia raggiunta l’intesa su tutti gli elementi dell’accordo, non potendosene ravvisare pertanto la sussistenza là dove, raggiunta l’intesa solamente su quelli essenziali ed ancorchè riportati in apposito documento (Cosiddetto “minuta” o “puntuazione”), risulti rimessa ad un tempo successivo la determinazione degli elementi accessori. Peraltro, anche in presenza del completo ordinamento di un determinato assetto negoziale può risultare integrato un atto meramente preparatorio di un futuro contratto, come tale non vincolante tra le parti, in difetto dell’attuale effettiva volontà delle medesime di considerare concluso il contratto, il cui accertamento, nel rispetto dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 e segg. c.c., è rimessso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in cassazione ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici. (Omissis). Cass. civ. sez. III 18 gennaio 2005, n. 910
In tema di minuta o di puntuazione del contratto, qualora l’intesa raggiunta dalle parti abbia ad oggetto un vero e proprio regolamento definitivo del rapporto – l’accertamento del quale è riservato all’apprezzamento del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione – non è configurabile un impegno con funzione meramente preparatoria di un futuro negozio, dovendo ritenersi formata la volontà attuale di un accordo contrattuale. Cass. civ. sez. II 7 aprile 2004, n. 6871
Nella nozione di minuta o puntuazione del contratto rientrano sia i documenti che contengono intese parziali in ordine al futuro regolamento d’interessi (cosiddetta puntuazione di clausole), sia i documenti che predispongano con completezza un accordo negoziale in funzione preparatoria del medesimo (cosiddetta puntuazione completa di clausole). Le due categorie presentano una diversità di regime probatorio, in quanto, nel secondo caso, la parte (la quale intenda dimostrare che non si tratti di un contratto concluso ma di una semplice minuta con puntuazione completa di clausole) deve superare la presunzione semplice di avvenuto perfezionamento contrattuale, in virtù del principio secondo cui anche un documento dimostrante con completezza un assetto negoziale può essere soltanto preparatorio di un futuro accordo, una volta dimostrata l’insussistenza di una volontà attuale di accordo negoziale. Il relativo accertamento, che si traduce nella ricostruzione effettiva delle parti interpretata secondo i criteri di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., implica un apprezzamento demandato al giudice di merito insindacabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata motivazione immune da vizi logici. Cass. civ. sez. I 22 agosto 1997, n. 7857
Ciò che distingue essenzialmente la cosiddetta punctatio tanto dalla proposta contrattuale, quanto dal contratto preliminare è il fatto che essa, anziché contenere, sia pure in nuce, tutti gli elementi o, quanto meno, quelli essenziali del contratto, contempli dati limitati o generici del contratto medesimo e, anziché documentare l’intesa raggiunta o essere diretta a provocare l’accettazione o la definizione dell’accordo, abbia carattere solo interlocutorio e preparatorio della stipulazione. Cass. civ. sez. II 13 aprile 1995, n. 4265
A differenza del contratto preliminare, ove le parti si obbligano a prestare il loro consenso alla conclusione del contratto definitivo, i cui elementi essenziali ed accidentali siano stati contestualmente precisati ed i cui effetti si produrranno al momento della sua stipulazione, con la sottoscrizione della cosiddetta minuta o «puntuazione» di contratto – la quale ha la sola funzione di documentare l’intesa raggiunta su alcuni punti del contratto da concludere quando si sarà successivamente raggiunto l’accordo anche sugli altri punti da trattare – le parti conservano la libertà di recesso dalle trattative la quale trova un limite soltanto nella responsabilità precontrattuale prevista dall’art. 1337 c.c. Cass. civ. sez. II 4 agosto 1990, n. 7871
La causa in concreto – intesa quale scopo pratico del contratto, in quanto sintesi degli interessi che il singolo negozio è concretamente diretto a realizzare, al di là del modello negoziale utilizzato – conferisce rilevanza ai motivi, sempre che questi abbiano assunto un valore determinante nell’economia del negozio, assurgendo a presupposti causali, e siano comuni alle parti o, se riferibili ad una sola di esse, siano comunque conoscibili dall’altra. Cass. civ., sez. , I 16 maggio 2017, n. 12069
In tema di contratti di scambio, lo squilibrio economico originario delle prestazioni delle parti non può comportare la nullità del contratto per mancanza di causa, perché nel nostro ordinamento prevale il principio dell’autonomia negoziale, che opera anche con riferimento alla determinazione delle prestazioni corrispettive. Cass. civ., sez. , I 4 novembre 2015, n. 22567
L’assunzione a carico di ciascuna delle parti di contrapposte obbligazioni non solo esclude la gratuità del negozio ma rende palese la sussistenza della causa di cui agli artt. 1325 e 1343 cod. civ., la quale si identifica con la funzione economico sociale che il negozio obiettivamente persegue e che il diritto riconosce come rilevante ai fini della tutela apprestata, rimanendo ontologicamente distinta rispetto allo scopo particolare che ciascuna delle parti si propone di realizzare. Cass. civ. sez. I 13 febbraio 2009, n. 3646
Causa del contratto è lo scopo pratico del negozio, la sintesi, cioè, degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare (c.d. causa concreta), quale funzione individuale della singola e specifica negoziazione, al di là del modello astratto utilizzato. (Nel formulare il suindicato principio la S.C. ha considerato privo di causa, e conseguentemente viziato di nullità, un contratto concernente un’attività di consulenza avente ad oggetto la valutazione di progetti industriali e di acquisizione di azienda intercorso tra una società di consulenza, che ne aveva contrattualmente assunto l’incarico, e un soggetto che la stessa attività «già simmetricamente e specularmente» svolgeva in adempimento delle proprie incombenze di amministratore della medesima società conferente). Cass. civ. sez. III 8 maggio 2006, n. 10490
La sola mancanza del corrispettivo in favore dell’obbligato non comporta la mancanza di causa del contratto atipico allorquando esso sia assimilabile ad un tipo nominato dal codice per il quale sia prevista la gratuità, sempre che l’atto di autonomia privata sia diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico. Cass. civ. sez. III 28 gennaio 2002, n. 982
La causa o ragione del negozio si identifica con la funzione economico-sociale dell’atto di autonomia privata nella sintesi dei suoi elementi essenziali e l’accertamento da parte del giudice di merito degli elementi costitutivi del negozio giuridico fa presumere, di regola, l’esistenza della corrispondente causa tipica, salva la prova di un diverso intento pratico delle parti. Cass. civ. sez. II 15 luglio 1993, n. 7844
È nullo per mancanza di causa il contratto a prestazioni corrispettive nel quale non vi sia una equivalenza, almeno approssimativa o tendenziale, delle prestazioni, come quando una delle parti si obblighi ad una prestazione senza che, in cambio, le venga attribuito nulla di più di quanto già le spetti per legge. Cass. civ. sez. II 27 luglio 1987, n. 6492
La causa di un negozio giuridico non deve necessariamente risultare da forma solenne, ma può validamente venir individuata mediante interpretazione, per via induttiva o deduttiva, del negozio stesso, senza, però, potersi portare l’indagine su fatti o negozi estranei o antecedenti. Cass. civ. sez. II 2 agosto 1977, n. 3401
Al fine della qualificazione giuridica di un contratto, ha rilievo l’indagine sulla causa, oggettivamente intesa come funzione essenziale e caratterizzante del contratto medesimo, in relazione al risultato immediatamente perseguito dalle parti, e non anche la ricerca degli ulteriori fini soggettivi che abbiano spinto i contraenti a negoziare, ancorché inseriti in clausole accessorie dell’atto. Cass. civ. Sezioni Unite 18 dicembre 1975, n. 4135
In materia contrattuale, per configurare la fattispecie della cd. “presupposizione” (o condizione inespressa) è necessario che dal contenuto del contratto si evinca l’esistenza di una situazione di fatto, non espressamente enunciata in sede di stipulazione, ma considerata quale presupposto imprescindibile della volontà negoziale, il cui successivo verificarsi o venir meno dipenda da circostanze non imputabili alle parti. Cass. civ., sez. , III 13 ottobre 2016, n. 20620
Ai fini della presupposizione, occorre che l’evento sia stato assunto come certo nella rappresentazione delle parti, così differenziandosi la presupposizione dalla condizione; rileva, quindi, la certezza soggettiva dell’evento presupposto, non richiedendosi la certezza oggettiva dell’evento medesimo, né l’imprevedibilità della sopravvenuta circostanza impeditiva. Cass. civ., sez. , II 14 giugno 2013, n. 15025
In materia contrattuale, affinché sia configurabile la fattispecie della c.d. “presupposizione” (o condizione inespressa), è necessario che dal contenuto del contratto si evinca l’esistenza di una situazione di fatto, considerata, ma non espressamente enunciata dalle parti in sede di stipulazione del medesimo, quale presupposto imprescindibile della volontà negoziale, il cui successivo verificarsi o venire meno dipenda da circostanze non imputabili alle parti stesse; il relativo accertamento, esaurendosi sul piano propriamente interpretativo del contratto, costituisce una valutazione di fatto, riservata, come tale, al giudice del merito ed incensurabile in sede di legittimità se immune da vizi logici o giuridici. Cass. civ., sez. , II 18 settembre 2009, n. 20245
La “presupposizione” ricorre quando una determinata situazione, di fatto o di diritto, passata, presente o futura, di carattere obiettivo – la cui esistenza, cessazione e verificazione sia del tutto indipendente dall’attività o dalla volontà dei contraenti e non costituisca oggetto di una loro specifica obbligazione – possa, pur in mancanza di un espresso riferimento ad essa nelle clausole contrattuali, ritenersi tenuta presente dai contraenti medesimi nella formazione del loro consenso, come presupposto avente valore determinante ai fini dell’esistenza e del permanere del vincolo contrattuale. La presupposizione, così intesa, assume rilevanza, determinando l’invalidità o la risoluzione del contratto, quando la situazione presupposta, passata o presente, in effetti non sia mai esistita e, comunque, non esista al momento della conclusione del contratto, ovvero quella contemplata come futura (ma certa) non si verifichi. L’indagine diretta a stabilire se una determinata situazione di fatto o di diritto, esterna al contratto, sia stata dai contraenti, nella formulazione del consenso, tenuta presente secondo il delineato schema della “presupposizione” si esaurisce sul piano propriamente interpretativo del contratto e costituisce, pertanto, un accertamento di fatto riservato al giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità, se immune da vizi logici e giuridici. (Omissis). Cass. civ. sez. II 24 marzo 1998, n. 3083
La presupposizione postula che una situazione di fatto considerata, ma non espressamente enunciata dalle parti in sede di stipulazione del contratto, venga successivamente mutata dal sopravvenire di circostanze non imputabili alle parti stesse, in modo che l’assetto che costoro hanno dato ai propri interessi si trovi a poggiare su una base diversa da quella in virtù della quale era stato concluso il contratto. Per contro, nel caso in cui il mutamento della situazione presupposta sia ascrivibile alle parti stesse, l’eliminazione del vincolo non può trovare giustificazione, né prospettando un conflitto, per definizione inesistente, con la volontà negoziale, né adducendo il rispetto dei principi di correttezza e di buona fede che presiedono all’interpretazione e all’esecuzione dei negozi giuridici. Cass. civ. sez. II 13 maggio 1993, n. 5460
L’istituto della presupposizione – introdotto in modo espresso ed in via generale nel nostro ordinamento dalla norma dell’art. 1467 c.c. – ricorre quando una determinata situazione di fatto o di diritto (passata, presente e futura) possa ritenersi tenuta presente dai contraenti nella formazione del loro consenso – pur in mancanza di un espresso riferimento ad essa nelle clausole contrattuali – come presupposto condizionante il negozio (cosiddetta condizione non sviluppata o inespressa). A tal fine, pertanto, si richiede: 1) che la presupposizione sia «comune» a tutti i contraenti; 2) che l’evento supposto sia stato assunto come «certo» nella rappresentazione delle parti (ed in ciò la presupposizione differisce dalla condizione); 3) che si tratti di presupposto «obiettivo», consistente, cioè, in una situazione di fatto il cui venir meno o il cui verificarsi sia del tutto indipendente dalla attività e volontà dei contraenti e non corrisponda, integrandolo, all’oggetto di una specifica loro obbligazione. Cass. civ. sez. II 31 ottobre 1989, n. 4554
Quando sia accertato che i contraenti sono addivenuti alla conclusione di un contratto sulla base di una presupposizione comune ad entrambe le parti (c.d. condizione non sviluppata o inespressa), il negozio fondato sulla presupposizione può essere risolto ex tunc quando l’evento presupposto venga meno nel corso dell’esecuzione del contratto, trattandosi di scioglimento e risoluzione del medesimo per causa non imputabile ai contraenti, ma tale scioglimento – in presenza di un contratto di durata – non può spiegare effetto rispetto alle prestazioni già eseguite. Cass. civ. sez. III 22 settembre 1981, n. 5168
Nel negozio di accertamento, il quale persegue la funzione di eliminare l’incertezza di una situazione giuridica preesistente, la nullità per mancanza di causa è ipotizzabile solo quando le parti, per errore o volutamente, abbiano accertato una situazione inesistente, oppure quando la situazione esisteva, ma era certa. Pertanto, con riguardo ad una scrittura privata avente ad oggetto il riconoscimento di una determinata intestazione di proprietà immobiliare, la mancanza di effetti traslativi, e la circostanza che il documento non contenga un’espressa indicazione dei rapporti che l’hanno preceduta, non sono ragioni di per sè sufficienti per affermare la nullità ed inoperatività della scrittura medesima, per difetto di causa, rendendosi necessaria un’indagine sui possibili suoi collegamenti con negozi precedenti intercorsi fra le stesse parti, al fine di stabilire se ricorra l’indicata funzione, e se, quindi, sia configurabile un negozio di accertamento rivolto a rendere definitiva e vincolante una precedente situazione incerta. (Fattispecie relativa ad una scrittura privata, che il giudice di merito aveva qualificato come negozio di accertamento, con cui le parti riconoscevano l’esistenza di un rapporto di società e con essa la contitolarità dei beni individualmente intestati, perchè acquistati con i proventi dell’attività comune). Cass. civ., sez. , II 24 agosto 2012, n. 14618
La nullità della stipula di un contratto con la P.A. dovuta a vizi formali non è sanabile per facta concludentia attraverso l’esecuzione delle obbligazioni scaturenti dal contratto stesso, occorrendo, per converso, la formale rinnovazione dell’atto, nell’osservanza delle sue condizioni di validità. Cass. civ. sez. I 4 settembre 2004, n. 17890
Le parti sono libere di scegliere per i loro contratti, tra le forme ammesse dalla legge, quelle che ritengono più rispondenti ai loro interessi. Pertanto, scelta, di accordo fra le parti, la forma della scrittura privata per una compravendita di immobili, nessuno dei contraenti può imporre all’altro di stipulare all’uopo un atto pubblico. Né a diversa conclusione si perviene ponendo l’accento sull’interesse dei contraenti, nelle compravendite immobiliari, di trascrivere il contratto per conseguire i noti effetti favorevoli derivanti dalla trascrizione, perché tale interesse può essere soddisfatto mediante l’accertamento, nelle forme di legge, dell’autenticità delle firme apposte alla scrittura privata. Cass. civ. sez. II 4 gennaio 1977, n. 16
Per la vendita dei beni mobili – ed anche delle macchine per il cui trasferimento non è richiesta la trascrizione – la regola è quella generale della libertà delle forme, ond’è che essa può essere stipulata anche oralmente senza il rilascio di documenti ed il semplice accordo verbale è titolo idoneo al trasferimento, a nulla rilevando che tale convenzione non sia seguita dal rilascio di una fattura, di una quietanza o di un analogo documento, che non hanno alcuna incidenza sulla perfezione del contratto ma mirano unicamente a regolare gli effetti fiscali della vendita a norma della legge istitutiva dell’IGE. Cass. civ. sez. III 15 gennaio 1972, n. 117
Codice dell’Amministrazione Digitale
Codice della Nautica da Diporto
Codice della Protezione Civile
Codice delle Comunicazioni Elettroniche
Codice Processo Amministrativo
Disposizioni attuazione Codice Civile e disposizioni transitorie
Disposizioni di attuazione del Codice di Procedura Civile
Disposizioni di attuazione del Codice Penale
Legge 68 del 1999 (Norme per il diritto al lavoro dei disabili)
Legge sul Procedimento Amministrativo
Legge sulle Locazioni Abitative
Norme di attuazione del Codice di Procedura Penale
Testo Unico Imposte sui Redditi
Testo Unico Leggi Pubblica Sicurezza
Testo Unico Successioni e Donazioni
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