Art. 1283 – Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262 - Aggiornato alla legge 26 novembre 2021, n. 206)

Anatocismo

Articolo 1283 - codice civile

In mancanza di usi contrari (1834), gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi. (1)

Articolo 1283 - Codice Civile

In mancanza di usi contrari (1834), gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi. (1)

Note

(1) A norma dell’art. 37, comma 50, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, nella L. 4 agosto 2006, n. 248, gli interessi previsti per il rimborso di tributi non producono in nessun caso interessi ai sensi di questo articolo.

Massime

La disposizione che ammette l’anatocismo, dettata dall’art. 1283 cod. civ. in materia di obbligazioni pecuniarie, non enuncia un principio di carattere generale, valido per ogni specie di obbligazione, ma ha carattere eccezionale, e non é, quindi, estensibile ai debiti di valore, quali quelli derivanti da responsabilità aquiliana. Cass. civ., sez. , III 5 dicembre 2014, n. 25729

A tutte le obbligazioni aventi ad oggetto originario il pagamento di una somma di denaro sulla quale spettino interessi di qualsiasi natura, compresi quelli di cui agli artt. 35 e 36 del Capitolato generale d’appalto per le opere pubbliche, approvato con d.p.r. 16 luglio 1962, n. 1063 (operante “ratione temporis”), è applicabile, in mancanza di usi contrari, la regola dell’anatocismo dettata dall’art. 1283 c.c., dovendo escludersi che il debito per interessi, anche quando sia stato adempiuto il debito principale, si configuri come una qualsiasi obbligazione pecuniaria, dalla quale derivi il diritto agli ulteriori interessi dalla mora nonché al risarcimento del maggior danno ex art. 1224, secondo comma, c.c.. Cass. civ., sez. , I 1 agosto 2013, n. 18438

Dal principio stabilito nell’art. 1283 c.c., secondo cui gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi, consegue che il giudice può condannare al pagamento degli interessi sugli interessi solo se si sia accertato che alla data della domanda giudiziale erano già scaduti gli interessi principali (sui quali calcolare gli interessi secondari), e cioè che il debito era esigibile e che il debitore era in mora, e che vi sia una specifica domanda giudiziale del creditore o la stipula di una convenzione posteriore alla scadenza degli interessi. Cass. civ. sez. V 10 marzo 2004, n. 4830

Non si sottrae al divieto dell’anatocismo, dettato dall’art. 1283 c.c., l’apposita convenzione che, stipulata successivamente ad un contratto di garanzia e relativa alle obbligazioni derivanti da quel rapporto, preveda l’obbligo per la parte debitrice di corrispondere anche gli interessi sugli interessi che matureranno in futuro, in quanto è idonea a sottrarsi a tale divieto solo la convenzione che sia stata stipulata successivamente alla scadenza degli interessi. Cass. civ. sez. III 25 febbraio 2004, n. 3805

In tema di obbligazioni pecuniarie, l’art. 1283 c.c. disciplina l’anatocismo prevedendo che «in mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi». Ne consegue che, in mancanza di una convenzione successiva alla scadenza che determini un tasso diverso, gli interessi sugli interessi scaduti, chiesti dalla domanda giudiziale, sono dovuti esclusivamente nella misura legale. Cass. civ. sez. III 2 ottobre 2003, n. 14688

La disciplina dell’anatocismo si applica ad un patto, qualificato dal giudice di merito come clausola penale, con cui le parti, per il caso di ritardo nell’adempimento di obbligazione pecuniaria, stabiliscano siano dovuti interessi e ne determinano la misura. Cass. civ. sez. III 13 dicembre 2002, n. 17813

Non è configurabile l’esistenza di usi normativi nel senso della capitalizzazione periodica degli interessi moratori dovuti in caso di ritardata corresponsione di sovvenzioni pubbliche, poiché solo le leggi che disciplinano le erogazioni pubbliche potrebbero contenere statuizioni in tal senso, direttamente, o mediante la previsione di una corrispondente convenzione. (Fattispecie relativa alle sovvenzioni ex art. 20, L. n. 856/1986 a favore delle società private già concessionarie di servizi marittimi locali del Medio e Alto Adriatico). Cass. civ. sez. I 18 febbraio 1999, n. 1360

Gli usi che consentono l’anatocismo, richiamati dall’art. 1283 c.c., sono usi normativi, in quanto operano sullo stesso piano di tale norma (secondum legem) come espressa eccezione al principio generale ivi affermato, onde essi hanno l’identica natura delle regole dettate dal legislatore ed il giudice può applicarli attingendone comunque la conoscenza (iura novit curia), con la conseguenza che anche in sede di legittimità è ammessa una indagine diretta sugli usi in questione e, una volta accertata l’esistenza, una decisione sulla base dei medesimi, indipendentemente dalle allegazioni delle parti e dalle considerazioni svolte in proposito dai giudici del merito. Cass. civ. sez. III 6 giugno 1988, n. 3804

In tema di capitalizzazione degli interessi, il rapporto di conto corrente bancario è soggetto ai principi generali di cui all’art. 1283 cod. civ. e ad esso non è applicabile l’art. 1831 cod. civ., che disciplina la chiusura del conto corrente ordinario. Il contratto di conto corrente bancario è, infatti, diverso per struttura e funzione dal contratto di conto corrente ordinario, e l’art. 1857 cod. civ. non richiama l’art. 1831 cod. civ. tra le norme applicabili alle operazioni bancarie regolate in conto corrente. Cass. civ. sez. , I 2 luglio 2014, 15135

Con l’entrata in vigore del d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (cosiddetto t.u.b.), secondo il quale qualsiasi ente bancario può esercitare operazioni di credito fondiario la cui provvista non è più fornita attraverso il sistema delle cartelle fondiarie, la struttura di tale forma di finanziamento ha perso quelle peculiarità nelle quali risiedevano le ragioni della sottrazione al divieto di anatocismo di cui all’art. 1283 cod. civ., rinvenibili nel carattere pubblicistico dell’attività svolta dai soggetti finanziatori (essenzialmente istituti di diritto pubblico) e nella stretta connessione tra operazioni di impiego e operazioni di provvista, atteso che gli interessi corrisposti dai terzi mutuatari non costituivano il godimento di un capitale fornito dalla banca, ma il mezzo per consentire alla stessa di far fronte all’eguale importo di interessi passivi dovuto ai portatori delle cartelle fondiarie (i quali, acquistandole, andavano a costituire la provvista per l’erogazione dei mutui). Ne consegue che l’avvenuta trasformazione del credito fondiario in un contratto di finanziamento a medio e lungo termine garantito da ipoteca di primo grado su immobili, comporta l’applicazione delle limitazioni di cui al citato art. 1283 cod. civ. e che il mancato pagamento di una rata di mutuo non determina più l’obbligo (prima normativamente previsto) di corrispondere gli interessi di mora sull’intera rata, inclusa la parte rappresentata dagli interessi corrispettivi, dovendosi altresì escludere la vigenza di un uso normativo contrario. Cass. civ., sez. , I 22 maggio 2014, n. 11400

In ipotesi di conto corrente bancario stipulato anteriormente al 22 aprile 2000, l’esclusione del diritto della banca ad operare qualsiasi capitalizzazione degli interessi a debito del correntista, in seguito alla dichiarazione di nullità della relativa pattuizione, secondo quanto precisato dalla sentenza n. 24418 del 2010 resa dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, non integra alcuna ipotesi di “overruling” a tutela dell’affidamento incolpevole della banca stessa, trattandosi di mutamento di giurisprudenza riguardante norme di carattere sostanziale e non processuale. Cass. civ., sez. , VI 3 settembre 2013, n. 20172

È conforme ai criteri legali di interpretazione del contratto, in particolare all’interpretazione sistematica delle clausole, l’interpretazione data dal giudice di merito ad una clausola di un contratto di conto corrente bancario, stipulato tra le parti in data anteriore al 22 aprile 2000, e secondo la quale la previsione di capitalizzazione annuale degli interessi, pattuita nel primo comma di tale clausola, si riferisce ai soli interessi maturati a credito del correntista, essendo, invece, la capitalizzazione degli interessi a debito prevista nel comma successivo, su base trimestrale, con la conseguenza che, dichiarata la nullità della previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale, per contrasto con il divieto di anatocismo stabilito dall’art. 1283 c.c. (il quale osterebbe anche ad un’eventuale previsione negoziale di capitalizzazione annuale), gli interessi a debito del correntista devono essere calcolati senza operare alcuna capitalizzazione. Cass. civ. Sezioni Unite 2 dicembre 2010, n. 24418

In tema di capitalizzazione degl’interessi bancari, l’inapplicabilità dell’art. 1283 c.c. agl’interessi dovuti sui saldi debitori di conti correnti bancari non può essere fatta discendere dalla natura compensativa di tali interessi e dalla riferibilità di detta disposizione esclusivamente agl’interessi corrispettivi e moratori, non potendo negarsi la natura corrispettiva degl’interessi in questione, i quali rientrano certamente nell’ambito applicativo del principio in base al quale l’utilizzazione di un capitale o di una cosa fruttifera obbliga l’utente al pagamento di una somma proporzionale, e cioè corrispettiva al godimento ricevuto. Cass. civ. sez. I 18 gennaio 2006, n. 870

La nullità della clausola anatocistica di capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi passivi, inserita nel contratto di conto corrente bancario da cui deriva il credito azionato in giudizio, è rilevabile d’ufficio dal giudice anche in grado di appello, rimanendo irrilevante, a tal fine, l’assenza di una deduzione (o di una tempestiva deduzione) del profilo di invalidità ad opera dell’interessato, la quale rappresenta una mera difesa, inidonea a condizionare, in senso positivo o negativo, l’esercizio del potere di rilievo officioso della nullità del contratto (art. 1421 c.c.). Cass. civ. sez. I 13 ottobre 2005, n. 19882

In tema di capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi di conto corrente bancario passivi per il cliente, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 425 del 2000, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 76, Cost., l’art. 25, comma terzo, D.L.vo n. 342 del 1999, il quale aveva fatto salva la validità e l’efficacia – fino all’entrata in vigore della delibera CICR di cui al comma secondo del medesimo art. 25 – delle clausole anatocistiche stipulate in precedenza, siffatte clausole, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, sono disciplinate dalla normativa anteriormente in vigore e, quindi, sono da considerare nulle in quanto stipulate in violazione dell’art. 1283 c.c., perchè basate su un uso negoziale, anzichè su un uso normativo, (mancando di quest’ultimo il necessario requisito soggettivo, consistente nella consapevolezza di prestare osservanza, mantenendo un determinato comportamento, ad una norma giuridica), e tale nullità è rilevabile d’ufficio, ai sensi dell’art. 1421 c.c., anche nel giudizio di gravame, quando (come nella specie) persista contestazione, ancorchè per ragioni diverse, sul titolo posto dalla banca a sostegno della richiesta degli interessi anatocistici, rientrando nei compiti del giudice l’indagine sulla sussistenza delle condizioni dell’azione. Cass. civ. sez. I 25 febbraio 2005, n. 4092

In tema di mutuo bancario, e con riferimento al calcolo degli interessi, devono ritenersi senz’altro applicabili le limitazioni previste dall’art. 1283 c.c., non rilevando, in senso opposto, l’esistenza di un uso bancario contrario a quanto disposto dalla norma predetta. Gli usi normativi contrari, cui espressamente fa riferimento il citato art. 1283 c.c., sono, difatti, soltanto quelli formatisi anteriormente all’entrata in vigore del codice civile (nè usi contrari avrebbero potuto formarsi in epoca successiva, atteso il carattere imperativo della norma de qua – impeditivo, per l’effetto, del riconoscimento di pattuizioni e comportamenti non conformi alla disciplina positiva esistente –, norma che si poneva come del tutto ostativa alla realizzazione delle condizioni di fatto idonee a produrre la nascita di un uso avente le caratteristiche dell’uso normativo), e, nello specifico campo del mutuo bancario ordinario, non è dato rinvenire, in epoca anteriore al 1942, alcun uso che consentisse l’anatocismo oltre i limiti poi previsti dall’art. 1283 c.c. Ne consegue la illegittimità tanto delle pattuizioni, tanto dei comportamenti – ancorchè non tradotti in patti – che si risolvano in una accettazione reciproca, ovvero in una unilaterale imposizione, di una disciplina diversa da quella legale. Cass. civ. sez. III, 20 febbraio 2003, n. 2593

La clausola di un contratto bancario, che preveda la capitalizzazione dei trimestrali degli interessi dovuti dal cliente, deve reputarsi nulla, in quanto si basa su un uso negoziale (ex art. 1340 c.c.) e non su un uso normativo (ex artt. 1 e 8 delle preleggi al c.c.), come esige l’art. 1283 c.c., laddove prevede che l’anatocismo (salve le ipotesi della domanda giudiziale e della convenzione successiva alla scadenza degli interessi) non possa ammettersi, «in mancanza di usi contrari». L’inserimento della clausola nel contratto, in conformità alle cosiddette norme bancarie uniformi, predisposte dall’A.B.I., non esclude la suddetta nullità, poiché a tali norme deve riconoscersi soltanto il carattere di usi negoziali e non quello di usi normativi. Cass. civ. sez. I 11 novembre 1999, 12507

La corresponsione degli interessi anatocistici presuppone che si tratti di interessi già dovuti almeno per sei mesi e che la parte richieda specificamente in giudizio la condanna al pagamento degli interessi che questi ultimi, da quel momento, produrranno, sicché, ove l’istanza sia ambigua e suscettibile di essere interpretata sia come volta ad ottenere il loro riconoscimento sia come richiesta degli interessi moratori destinati a maturare dopo la domanda e fino all’effettivo pagamento, il giudice del merito non può ritenere invocati i primi se l’esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto della corrispondente pretesa non fornisca argomenti in tal senso, altrimenti incorrendo nel vizio di violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato. Cass. civ., sez. , VI-I 22 aprile 2016, n. 8156

L’attribuzione degli interessi sugli interessi scaduti, secondo la previsione di cui all’art. 1283 c.c., postula una specifica domanda del creditore, autonoma e distinta rispetto a quella rivolta al riconoscimento degli interessi principali, sicché essa non può essere disposta per il futuro dal giudice al quale sia stata richiesta la liquidazione del credito principale e dei relativi interessi. Cass. civ., sez. , I 12 aprile 2002, n. 5271 

La domanda giudiziale diretta ad ottenere il pagamento degli interessi sugli interessi a norma dell’art. 1283 c.c. non si identifica con la sola citazione introduttiva della lite, ma comprende anche qualsiasi ulteriore istanza validamente proposta durante il giudizio di primo grado (ed eventualmente riproposta in appello, se rigettata) con la quale possono chiedersi pure gli interessi su quelli già scaduti in corso di causa, sempre con il limite dell’esclusione di quelli scadenti nei sei mesi precedenti la pubblicazione della sentenza che li riconosca. Cass. civ., sez. , III 12 febbraio 2002, n. 1964

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