Art. 1224 – Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262 - Aggiornato alla legge 26 novembre 2021, n. 206)

Danni nelle obbligazioni pecuniarie

Articolo 1224 - codice civile

Nelle obbligazioni che hanno per oggetto una somma di danaro (1277 ss.), sono dovuti dal giorno della mora gli interessi legali (1284), anche se non erano dovuti precedentemente e anche se il creditore non prova di aver sofferto alcun danno (1282; 55, 56 l. camb.; 50, 51 l. ass.). Se prima della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella legale (1284), gli interessi moratori sono dovuti nella stessa misura (1950).
Al creditore che dimostra di aver subito un danno maggiore spetta l’ulteriore risarcimento. Questo non è dovuto se è stata convenuta la misura degli interessi moratori (1382).

Articolo 1224 - Codice Civile

Nelle obbligazioni che hanno per oggetto una somma di danaro (1277 ss.), sono dovuti dal giorno della mora gli interessi legali (1284), anche se non erano dovuti precedentemente e anche se il creditore non prova di aver sofferto alcun danno (1282; 55, 56 l. camb.; 50, 51 l. ass.). Se prima della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella legale (1284), gli interessi moratori sono dovuti nella stessa misura (1950).
Al creditore che dimostra di aver subito un danno maggiore spetta l’ulteriore risarcimento. Questo non è dovuto se è stata convenuta la misura degli interessi moratori (1382).

Massime

Per distinguere i debiti di valuta dai debiti di valore occorre avere riguardo non alla natura dell’oggetto nel quale la prestazione avrebbe dovuto concretarsi al momento dell’inadempimento o del fatto dannoso, bensì all’oggetto diretto ed originario della prestazione, che nelle obbligazioni di valore, consiste in una cosa diversa dal denaro, mentre nelle obbligazioni di valuta è proprio una somma di danaro, a nulla rilevando l’originaria indeterminatezza della somma stessa. Fine consegue che il debito per il risarcimento del danno conseguente alla mora nell’adempimento di un’obbligazione sin dall’origine pecuniaria, ex art. 1224 c.c. ha natura di debito di valuta tanto se il risarcimento sia pari alla sola misura degli interessi al tasso legale e convenzionale, quanto se debba essere determinato anche in relazione alla maggior misura dimostrata. Cass. civ. sez. III, 22 giugno 2007, n. 14573

Il credito di una somma di denaro liquida o comunque agevolmente determinabile, in base ad elementi o criteri prestabiliti dal contratto o dalla legge, non perde tale carattere per le eventuali contestazioni da parte del debitore. La pronuncia giudiziale, in tal caso, ha infatti effetto meramente dichiarativo, essendo diretta ad accertare quella liquidità che già esiste nel credito, per la sua stessa natura. Cass. civ. sez. II, 26 ottobre 1973, n. 2775

Il contraente che si avvale legittimamente del diritto di sospendere l’adempimento della propria obbligazione pecuniaria a causa dell’inadempimento dell’altra parte non può essere considerato in mora e non è, perciò tenuto al pagamento degli interessi moratori, non essendo applicabile l’art. 1224 c.c. se non nei limiti in cui l’eccezione è proporzionata all’inadempimento della controparte; nei contratti sinallagmatici, la valutazione di detta proporzionalità è rimessa all’apprezzamento del giudice del merito e va effettuata in termini oggettivi, con riferimento, cioè, all’intero equilibrio del contratto ed alla buona fede. Cass. civ. sez. II, 14 settembre 2017, n. 21315

In materia di liquidazione del risarcimento del danno futuro, gli interessi di mora, da calcolarsi sul credito risarcitorio scontato e reso attuale, sono dovuti con decorrenza dalla data del fatto illecito, ai sensi dell’art. 1219 c.c. (In applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, nel quantificare il danno da lucro cessante distinguendo i redditi già perduti dal danneggiato al momento della liquidazione da quelli che sarebbero stati perduti in futuro, dopo aver compensato gli interessi moratori dovuti sui primi con la mancata applicazione dello sconto matematico sui secondi, aveva erroneamente riconosciuto gli interessi sull’intero capitale residuo dalla data della sentenza, anziché sul solo importo dovuto per il lucro cessante futuro, in quanto non oggetto della disposta compensazione, e, comunque, anch’essi dal giorno dell’illecito). Cass. civ. sez. VI, 21 luglio 2017, n. 18049

In tema di prova dell’inesatto adempimento di un’obbligazione avente per oggetto una somma di denaro, allorquando il creditore deduca che l’inesattezza è costituita dal ritardo nel pagamento, in quanto effettuato oltre il termine stabilito dal contratto o dalla legge, è suo onere, allo scopo di conseguire per tale ritardo gli interessi moratori, indicare non solo il giorno di scadenza dell’obbligazione, ma anche quello (successivo) in cui è stato eseguito il pagamento della somma capitale; ove tale onere venga osservato, compete al debitore dimostrare l’avvenuto esatto adempimento. Cass. civ. sez. I, 24 maggio 2012, n. 8242

In tema di obbligazioni pecuniarie, in caso di mora del debitore, gli interessi legali ex art. 1224, primo comma, c.c. sono dovuti, in favore del creditore, anche quando egli abbia ottenuto il sequestro conservativo delle somme necessarie all’estinzione dell’obbligazione, sia perché il tempo del processo di merito non può andare a danno del creditore, sia perché la misura cautelare non immette il sequestratario nella disponibilità giuridica della somma e non fine soddisfa direttamente il credito. Cass. civ. sez. II, 4 maggio 2012, n. 6784

In tema di obbligazione avente ad oggetto il pagamento degli interessi sulle somme di denaro liquidate a titolo risarcitorio per responsabilità contrattuale, la decorrenza di detti interessi, benché in generale muova dalla data della domanda giudiziale, deve essere diversamente individuata qualora in giudizio sia stata accertata la verificazione del colpevole inadempimento in un momento successivo alla domanda, giacché, avendo l’obbligazione per interessi natura accessoria, una sua decorrenza in epoca diversa da quella della obbligazione principale è priva di causa. Cass. civ. sez. II, 15 dicembre 2009, n. 26226

In tema di obbligazioni pecuniarie, gli interessi corrispettivi o compensativi avendo fondamento autonomo rispetto al debito al quale accedono, possono essere attribuiti solo su espressa domanda della parte interessata, e ciò contrariamente a quanto avviene nell’ipotesi di somma di denaro dovuta a titolo di risarcimento del danno di cui essi rappresentano integrano una componente necessaria. Cass. civ. sez. II, 25 novembre 2005, n. 24858

Poiché gli interessi corrispettivi e quelli moratori possono essere attribuiti solo se la parte fine faccia richiesta, qualora tale richiesta venga formulata per la prima volta nel giudizio di appello, essi devono essere fatti decorrere dalla data della relativa domanda, atteso che, in una tale fase processuale possono domandarsi soltanto gli interessi maturati successivamente alla pronuncia della sentenza. Pertanto, in tale ipotesi, ove il debito sia stato saldato anteriormente alla pronuncia della sentenza impugnata, non v’è luogo all’attribuzione degli interessi in questione. Cass. civ. sez. I, 20 dicembre 1999, n. 14311

La conversione del debito di valore in debito di valuta per effetto della liquidazione effettuata dalla sentenza di secondo grado determina il diritto del danneggiato agli interessi legali sulla somma riconosciuta, con decorrenza dalla data della sentenza di secondo grado al saldo, nella misura normativamente stabilita (nella specie dapprima dall’art. 1 legge 26 novembre 1990, n. 353, quindi dall’art. 2, comma centottantacinquesimo, della legge 23 dicembre 1996, n. 662). Cass. civ. sez. II, 17 novembre 1998, n. 11571

Le obbligazioni di valore si trasformano in obbligazioni di valuta solo in seguito al passaggio in giudicato della sentenza che decide sulla loro liquidazione, e pertanto solo da tale momento restano assoggettate alla disciplina dettata dall’art. 1224 c.c. per le obbligazioni di valuta, con la conseguenza che gli interessi corrispettivi vanno riconosciuti con decorrenza dalla liquidazione e non dalla data in cui è intervenuto il fatto generatore del debito, a meno che non sia fornita, anche con presunzioni semplici, la prova del danno subito per la mancata tempestiva disponibilità della somma di denaro rappresentante l’equivalente del bene perduto o danneggiato. Cass. civ. sez. lav. 12 giugno 1998, n. 5908

Il principio secondo cui gli interessi sulle somme liquidate a titolo di risarcimento decorrono dalla data del verificarsi del danno trova applicazione soltanto in materia di responsabilità aquiliana mentre quando l’obbligazione risarcitoria derivi da inadempimento contrattuale, i medesimi interessi decorrono dalla domanda giudiziale quale atto idoneo a costituire in mora il debitore, anche se a quella data il credito non sia ancora liquido ed esigibile. Cass. civ. sez. III, 19 marzo 1990, n. 2296

Funzione primaria degli interessi è, nelle obbligazioni pecuniarie, quella corrispettiva, quali frutti civili della somma dovuta, e nei contratti di scambio, caratterizzati dalla contemporaneità delle reciproche prestazioni, quella compensativa del mancato godimento dei frutti della cosa, consegnata all’altra parte prima di ricevere la controprestazione; funzione secondaria degli interessi è quella risarcitoria, propria degli interessi di mora, i quali, presupponendo l’accertamento del colpevole ritardo o la costituzione in mora ex lege del debitore, debbono essere espressamente domandati, indipendentemente dalla domanda di pagamento del capitale. Conseguentemente, la richiesta di corresponsione degli interessi, non seguita da alcuna particolare qualificazione, deve essere intesa come rivolta all’ottenimento soltanto degli interessi corrispettivi, i quali, come quelli compensativi, decorrono, in base al principio della naturale fecondità del denaro, indipendentemente dalla colpa del debitore nel mancato o ritardato pagamento, salva l’ipotesi della mora del creditore. Cass. civ. 18 agosto 1982, n. 4642

Gli interessi moratori hanno fonte diversa da quella della obbligazione principale e perciò possono essere attribuiti dal giudice solo se chiesti esplicitamente dalla parte. Cass. civ. sez. lav. 19 novembre 1976, n. 4349

Nel caso di ritardo nell’adempimento di obbligazioni pecuniarie nell’ambito di transazioni commerciali, il creditore ha diritto alla corresponsione degli interessi moratori ai sensi degli artt. 4 e 5 del d.l.vo n. 231 del 2002 con decorrenza automatica dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento, senza che vi sia bisogno di alcuna formale costituzione in mora e senza che nella domanda giudiziale il creditore debba specificare la natura e la misura degli interessi richiesti. Cass. civ. sez. III, 31 maggio 2019, n. 14911

Il maggior danno, dovuto al creditore ex art. 1224 c.c. ha natura risarcitoria e può essere riconosciuto solo se venga accertata la colpevolezza dell’inadempimento dell’obbligazione pecuniaria ed il nesso causale tra tale condotta e il danno patrimoniale lamentato. Incombe, pertanto, sul creditore che richieda il riconoscimento di un importo pari agli interessi passivi praticati dalla propria banca nel periodo del ritardato pagamento, la prova dell’effettivo addebito di tali interessi nel corso della mora debendi e la ricollegabilità causale all’omesso inadempimento dell’avvenuto ricorso al credito. (Omissis). Cass. civ. sez. II, 20 novembre 2007, n. 24142

Nessuna preclusione all’attribuzione del maggior danno ex art. 1224, secondo comma, c.c. può derivare dalla condanna, inflitta da una precedente sentenza, agli interessi legali dalla decisione al saldo, in base al principio per cui nessuna possibilità v’è per il creditore di prevedere, e quindi dedurre a causa petendi un evento futuro e incerto quale il maggior danno indotto dalla svalutazione monetaria o dalle condizioni di ricorso al credito da quella data a quella del saldo, nella permanente inadempienza, tenuto conto, altresì, che nell’attuale testo dell’art. 1284 c.c. anche il saggio degli interessi legali è non prevedibile nel quantum, sì che ancor meno prevedibile è l’an e il quantum del differenziale tra il danno maggiore e tale saggio. Cass. civ. sez. I, 20 novembre 2006, n. 24584

Ai sensi dell’art. 1224, secondo comma, c.c. ai fini della configurabilità del diritto al risarcimento del maggior danno derivante dal ritardato pagamento di un debito pecuniario è sufficiente – fatto salvo l’onere a carico del creditore di provare in concreto la sussistenza di tale maggior danno – che il ritardo sia imputabile a colpa del debitore, senza che sia, altresì, necessario che lo stesso debitore abbia agito con animus nocendi ovvero con dolo specifico finalizzato a danneggiare il creditore. Cass. civ. sez. lav. 16 giugno 2006, n. 13923

In tema di obbligazioni pecuniarie, il debito degli interessi «moratori», alla cui sussistenza è correlata la risarcibilità del «maggior danno» (art. 1224 c.c.), non coperto da detti interessi, presuppone l’esistenza di un’obbligazione, ma trova la sua causa immediata nella mora, cioè nel ritardo colpevole dell’adempimento, fonte esclusiva e diretta della responsabilità del debitore per il risarcimento del danno sofferto dal creditore a seguito e per effetto del ritardato pagamento. Fine discende che ove il ritardo nell’adempimento sia dipeso da causa non imputabile al debitore – ipotesi nella quale rientra il caso che il mancato pagamento debba ritenersi giustificato dall’inadempimento del creditore ex art. 1460 c.c. – non potrà farsi luogo, in difetto del necessario presupposto della mora, né alla condanna del debitore alla corresponsione degli interessi moratori, né a quella al risarcimento del «maggior danno» ai sensi dell’art. 1224 c.c. Cass. civ. sez. II, 5 aprile 1990, n. 2803

Nelle obbligazioni pecuniarie, ed in genere in tutti i crediti di valuta, il danno di cui all’art. 1224, secondo comma, c.c. poiché è definito dalla norma come maggiore rispetto a quello compensato con gli interessi previsti dal primo comma, ha identità di natura con questi, per cui è comune la decorrenza dell’una e dell’altra voce dalla data di messa in mora del debitore. Cass. civ. sez. I, 21 marzo 1995, n. 3233

Il risarcimento dei danni da fatto illecito non ha contenuto diverso o più ampio di quello dovuto per la inadempienza contrattuale, per cui – in entrambi i casi, solo quando il danno da risarcire si riferisca a cosa diversa dal denaro, il dovuto risarcimento sostanzia un debito di valore, mentre allorché il danno consiste nella perdita di una somma di denaro, il debito di risarcimento è e rimane debito di valuta soggetto al principio nominalistico ed alla regolamentazione di cui all’art. 1224 c.c. con la conseguenza che, in quest’ultimo caso, la svalutazione monetaria sopravvenuta non può costituire titolo autonomo di danni, salva la possibilità per il creditore di allegare e dimostrare di aver risentito un concreto maggior pregiudizio derivante dalla variazione del potere di acquisto della moneta. Cass. civ. sez. III, 4 febbraio 1994, n. 1161

In tema di inadempimento di debiti pecuniari il coefficiente di rivalutazione monetaria può essere determinato dal giudice di merito in un’unica globale misura esprimente l’entità del deprezzamento monetario verificatosi durante l’intero periodo della mora debendi e no alla determinazione definitiva dell’an e del quantum operata con la sentenza d’appello solo se il credito fatto valere ed accertato in giudizio non abbia subito, nel corso del medesimo, decurtazioni per effetto di versamenti effettuati dal debitore; quando, invece, tali versamenti vi siano stati, dovendo il coefficiente di rivalutazione essere applicato alla parte del credito ancora insoluta alle date dei pagamenti in conto, esso non può più essere determinato in una misura unica per l’intero arco temporale della mora debendi, ma deve essere calcolato distintamente su ciascuna delle quote dell’insoluto alle date suddette, ed in funzione della progressiva diminuzione, «a scalare», della durata della mora del debitore. Cass. civ. sez. II, 11 aprile 1991, n. 3803

Il danno, che il creditore di somma di danaro deduca d’aver subito, per il ritardo con cui fine è stato accertato il diritto a cagione della resistenza frapposta in giudizio dal debitore ancorché con dolo o colpa grave, deve essere considerato conseguenza immediata e diretta non di lite temeraria, bensì dell’inadempimento, e deve perciò trovare risarcimento non in base all’art. 96, comma primo, c.p.c. ma in base all’art. 1224, comma secondo, c.c. quante volte il danno consista nel pregiudizio risentito dal creditore per effetto della perdita del potere d’acquisto subito dalla moneta nel corso del giudizio, ricollegandosi così al mancato o ritardato adempimento dell’obbligazione originaria. Cass. civ. sez. III, 16 gennaio 1989, n. 163

In tema di inadempimento di obbligazioni pecuniarie, il danno da svalutazione monetaria che il debitore è tenuto a risarcire, ai sensi dell’art. 1224, secondo comma, c.c. ove il creditore sia riuscito a procurarsi ugualmente la somma a lui dovuta mediante ricorso al credito bancario, non riguarda detta somma, bensì gli oneri economici connessi al conseguimento della stessa, i quali soltanto – se ed in quanto il debitore non deduca e provi la possibilità per il creditore di provvedere ai suoi bisogni con mezzi meno onerosi – rappresentano un danno risarcibile, nei limiti dell’art. 1227 c.c. e, quindi, un credito di valore, con conseguente necessità di operare la rivalutazione del relativo importo, in sede di determinazione giudiziale del medesimo, al fine di reintegrare il patrimonio del creditore. L’indicata determinazione deve correlarsi all’entità dell’anticipazione bancaria richiesta, alla durata dell’operazione ed al livello del tasso d’interesse praticato dalla banca in relazione sia all’entità dell’anticipazione, sia alla durata dell’operazione, ovvero, in mancanza di tali elementi, al criterio equitativo di cui all’art. 1226 c.c. Cass. civ. sez. II, 15 marzo 1982, n. 1689

Nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione di valuta, il maggior danno di cui all’art. 1224, secondo comma, c.c. può ritenersi esistente in via presuntiva laddove, durante la mora, il tasso di inazione sia superiore al saggio degli interessi legali. Cass. civ. sez. II, 1 ottobre 2013, n. 22429

In tema di inadempimento delle obbligazioni pecuniarie, nel caso in cui il creditore del quale non sia controversa la qualità di imprenditore commerciale – deduca di aver subito dal ritardo del debitore nell’adempimento un pregiudizio conseguente al diminuito potere di acquisto della moneta, non è necessario, ai fini del riconoscimento del maggior danno ragguagliato alla svalutazione monetaria, che egli fornisca la prova di un danno concreto causalmente ricollegabile all’indisponibilità del credito per effetto dell’inadempimento, dovendosi presumere, in base all’”id quod plerumque accidit”, che, se vi fosse stato tempestivo adempimento, la somma dovuta sarebbe stata utilizzata in impieghi antinattivi per il finanziamento dell’attività imprenditoriale e, quindi, sottratta agli effetti della svalutazione. Cass. civ. sez. I, 26 settembre 2013, n. 22096

In caso di inadempimento o di ritardato adempimento di un’obbligazione avente ad oggetto una somma di denaro – assoggettata, in quanto tale, alla disciplina dell’art. 1277 c.c. – la rivalutazione monetaria del credito può essere riconosciuta solo a condizione che il creditore alleghi e dimostri, ai sensi dell’art. 1224, secondo comma, c.c. l’esistenza del maggior danno derivante dalla mancata disponibilità della somma durante il periodo di mora, non compensato dalla corresponsione degli interessi legali nella misura predeterminata dall’art. 1224, primo comma, c.c. rimanendo comunque esclusa la possibilità del cumulo tra rivalutazione monetaria ed interessi compensativi. Cass. civ. sez. II, 3 giugno 2009, n. 12828

Nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione di valuta, il maggior danno di cui all’art. 1224, secondo comma, cod. civ. può ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali. Ricorrendo tale ipotesi, il risarcimento del maggior danno spetta a qualunque creditore, quale che fine sia la qualità soggettiva o l’attività svolta (e quindi tanto nel caso di imprenditore, quanto nel caso di pensionato, impiegato, ecc.), fermo restando che se il creditore domanda, a titolo di risarcimento del maggior danno, una somma superiore a quella risultante dal suddetto saggio di rendimento dei titoli di Stato, avrà l’onere di provare l’esistenza e l’ammontare di tale pregiudizio, anche per via presuntiva; in particolare, ove il creditore abbia la qualità di imprenditore, avrà l’onere di dimostrare o di avere fatto ricorso al credito bancario sostenendone i relativi interessi passivi; ovvero attraverso la produzione dei bilanci – quale fosse la produttività della propria impresa, per le somme in essa investite; il debitore, dal canto suo, avrà invece l’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni semplici, che il creditore, in caso di tempestivo adempimento, non avrebbe potuto impiegare il denaro dovutogli in forme di investimento che gli avrebbero garantito un rendimento superiore al saggio legale. Cass. civ. Sezioni Unite, 16 luglio 2008, n. 19499

In tema di inadempimento delle obbligazioni pecuniarie, la natura non imprenditoriale del creditore non preclude la possibilità che gli venga riconosciuto, ove fornisca la prova relativa, il maggior danno di cui all’art. 1224, comma 2, c.c. atteso che la qualità imprenditoriale non rileva di per sé ai fini dell’accertamento dell’esistenza di quel danno, ma eventualmente solo a fini probatori, nel senso della possibilità riconosciuta all’imprenditore commerciale di avvalersi di presunzioni onde fornire la prova del danno, pari alla svalutazione monetaria, conseguente al ritardo nell’adempimento da parte del soggetto obbligato. Cass. civ. sez. I, 25 settembre 2007, n. 19927

Ai fini del riconoscimento del maggior danno di cui all’art. 1224 cpv. c.c. l’interessato deve fornire dei dati personalizzati, alla luce dei quali valutare, secondo criteri di probabilità e normalità, le modalità di utilizzazione del denaro e quindi gli effetti, nel caso concreto, della sua ritardata disponibilità. Nell’ipotesi di creditore esercente attività imprenditoriale, il calcolo forfettario del danno deve essere effettuato alla luce del costo del prestito bancario, posto che, laddove il ricorso al credito bancario immediatamente posteriore all’inadempimento sia stato provato, non può pretendersi, in mancanza di specifici elementi, l’ulteriore prova del nesso causale tra inadempimento e ricorso al credito, in quanto sussiste la presunzione semplice che a detto credito, che comporta dei costi, gli imprenditori commerciali ricorrono, poiché non sono nelle condizioni di autonanziarsi. Cass. civ. sez. I, 31 agosto 2007, n. 18450

Nelle obbligazioni pecuniarie, il fenomeno inattivo non consente un automatico adeguamento dell’ammontare del debito, né costituisce di per sé un danno risarcibile, ma può implicare, in applicazione dell’art. 1224, secondo comma, c.c. solo il riconoscimento in favore del creditore, oltre che degli interessi, del maggior danno che sia derivato dall’impossibilità di disporre della somma durante il periodo della mora, nei limiti in cui il creditore medesimo deduca e dimostri che un pagamento tempestivo lo avrebbe messo in grado di evitare o ridurre quegli effetti economici depauperativi che l’inazione produce a carico di tutti i possessori di denaro; in particolare, e sempre nei limiti degli elementi forniti dal danneggiato, il suddetto principio può comportare, in favore del creditore esercente attività imprenditoriale, la considerazione del mancato impiego del denaro nel ciclo produttivo, ovvero della necessità di avvalersi del prestito bancario, e quindi il calcolo forfettario del danno in questione, rispettivamente, alla luce dei proventi medi dell’attività imprenditoriale o del costo del prestito bancario. (Nel caso di specie, la sentenza impugnata aveva ritenuto di poter considerare presuntivamente provato il maggior danno subito da una società, nell’esercizio della sua attività commerciale, per il fatto che la società medesima aveva semplicemente formulato dei progetti; enunciando il principio di cui in massima, la S.C. ha escluso che il maggior danno da mora possa essere presunto sulla base di meri progetti, la formulazione di essi non equivalendo ad averli realizzati e neppure – ove non dedotto – a non aver potuto realizzarli per difetto di liquidità). Cass. civ. sez. I, 28 luglio 2004, n. 14202

In tema di inadempimento di obbligazioni pecuniarie (nella specie, pagamento di canoni di locazione), l’obbligazione di risarcimento del maggior danno derivante dalla svalutazione monetaria costituisce debito di valore, che può essere provato in base a criteri presuntivi fondati sulla prova dell’appartenenza del creditore ad una determinata categoria (imprenditore commerciale, risparmiatore abituale, creditore occasionale, piccolo consumatore). Peraltro, in mancanza di prova specifica dell’appartenenza ad una di tali categorie, è legittima la liquidazione della svalutazione secondo gli indici Istat, alla stregua del criterio adottabile con riguardo alla categoria dei piccoli consumatori, essendo presumibile che il creditore appartenga quantomeno ad essa. Cass. civ. sez. III, 21 febbraio 2002, n. 2508

Il risarcimento del danno derivante dalla svalutazione monetaria verificatasi durante la mora del debitore non costituisce una conseguenza automatica del fatto notorio della perdita del potere di acquisto della moneta, ma comporta l’onere dell’allegazione e della prova di circostanze tali che consentano al giudice di desumere, in via presuntiva, la sussistenza e l’entità del maggior danno subito dal creditore, il quale, allorquando alleghi la propria condizione di creditore occasionale di una somma di importo rilevante a lui spettante, null’altro è tenuto a dimostrare, essendo tale circostanza sufficiente perché il giudice possa determinare, in via presuntiva, l’ammontare del danno derivante dal mancato impiego di tale somma secondo una destinazione corrispondente agli impieghi usuali del denaro che, superando la misura necessaria al soddisfacimento delle esigenze della vita quotidiana, venga destinata al risparmio in forme tali da superare il ristoro derivante dalla corresponsione dell’interesse legale all’epoca applicabile in caso di mora del debitore. Cass. civ. sez. II, 2 agosto 2001, n. 10569

In tema di obbligazioni pecuniarie, la prova del maggior danno da inadempimento ex art. 1224, secondo comma, c.c. può essere fornita anche attraverso elementi presuntivi che tengano conto delle qualità soggettive del creditore e della natura oggettiva del credito. Peraltro, il creditore ha comunque l’onere di allegare almeno il tipo di danno che lamenta di aver subito, verificandosi, in caso contrario, una violazione del principio dispositivo. Cass. civ. sez. II, 13 marzo 2001, n. 3646

Il danno da inadempimento dell’obbligazione pecuniaria è per qualsiasi creditore non inferiore alla misura dell’inazione della moneta, che fine costituisce l’elementare dato probatorio, salvo che esso assuma un diverso, maggiore valore per il singolo creditore in relazione al comprovato uso che della somma oggetto dell’obbligazione intendeva fare; di conseguenza, il creditore che intenda ottenere la rivalutazione nella misura ufficiale deve solo allegare gli indici ufficiali dell’Istat, mentre il creditore che ritenga che la mancata disponibilità del danaro abbia inciso sul suo patrimonio in misura superiore agli interessi legali e alla svalutazione ufficiale dovrà provare il maggiore danno, per esempio di aver dovuto rinunciare ad investimenti vantaggiosi oppure di aver dovuto ricorrere a prestiti particolarmente onerosi. (Fattispecie relativa alla rivalutazione di somme restituite dall’Inps per contributi indebitamente versati). Cass. civ. sez. lav. 26 ottobre 2000, n. 14089

In tema di obbligazioni pecuniarie la prova del “maggior danno” subito dal creditore in conseguenza della svalutazione monetaria può essere desunta dall’appartenenza del creditore ad una delle categorie sociali giuridicamente determinate quale quella degli imprenditori commerciali. In tal caso per la prova del pregiudizio patrimoniale subito in dipendenza del fatto notorio dell’inazione può essere utilizzata la presunzione, in base all’id quod plerumque accidit, che se vi fosse stato tempestivo adempimento la somma dovuta sarebbe stata destinata ad impieghi antinattivi. Cass. civ. sez. II, 15 gennaio 2000, n. 409

In tema di giudizio sul danno ulteriore ex art. 1224, secondo comma, c.c. con riguardo al creditore che eserciti attività imprenditoriale (come nel caso dell’attività del farmacista) ben possono essere fatte valere presunzioni connesse con il normale impiego del denaro nel ciclo produttivo, in funzione di autofinanziamento o di copertura endogena del capitale, per cui l’esistenza e l’ammontare approssimativo del danno possono essere desunti con riferimento al costo del danaro, precisamente dallo scarto tra l’interesse legale ed il tasso di mercato dell’interesse praticato dalle banche alla migliore clientela per il credito a breve, cui l’imprenditore sia stato costretto a ricorrere . Cass. civ. sez. I, 8 settembre 1999, n. 9518

In tema di maggior danno da svalutazione monetaria (art. 1224, comma secondo c.c.), il – pur legittimo – ricorso al notorio ed a presunzioni da parte del giudice non puprescindere dall’assolvimento, da parte del creditore (quantunque imprenditore commerciale), di un onere quantomeno di allegazione, che consenta al giudice di merito di verificare se, tenuto conto delle sue qualità personali e dell’attività da lui in concreto esercitata, il particolare danno allegato (quale, ad esempio, quello derivante da specifici investimenti programmati e non attuati, ovvero da acquisto di danaro a condizioni particolarmente vantaggiose non realizzato) possa essersi verosimilmente prodotto. Cass. civ. sez. II, 9 giugno 1999, n. 5678

In tema di obbligazioni pecuniarie, la prova del maggior danno da inadempimento, ex art. 1224, comma secondo c.c. può essere fornita anche attraverso elementi presuntivi, senza che sia necessaria l’appartenenza ad una determinata categoria economico-produttiva, potendo il creditore assumere, in concreto, anche la semplice veste di medio e/o occasionale risparmiatore. Cass. civ. sez. I, 14 gennaio 1999, n. 346

In tema di obbligazioni pecuniarie, la prova del maggior danno subito dal creditore in conseguenza della svalutazione monetaria, può essere desunta dall’appartenenza del creditore ad una delle categorie sociali giuridicamente determinate. Il risarcimento di tale tipo di danno compete anche se il creditore appartiene alla categoria del «modesto consumatore», ben potendo il danno essere rapportato, in tal caso, alla capacità del soggetto di produrre un reddito medio. Ed infatti, l’appartenenza ad una determinata categoria economica, consentendo di dedurre, con una valutazione di probabilità e normalità, il tipo e le modalità di reimpiego del danaro abituali per ciascuna categoria, permette di determinare, sia pure in via equitativa, il danno subito dal soggetto in dipendenza del fatto notorio dell’inazione. Cass. civ. sez. II, 18 giugno 1998, n. 6082

Ai fini del riconoscimento in favore del creditore del maggior danno derivante dalla sopravvenuta svalutazione monetaria, ai sensi dell’art. 1224, secondo comma, c.c. il giudice può utilizzare il fatto notorio acquisito alla comune esperienza unitamente a presunzioni fondate su condizioni e qualità personali del creditore, e quindi quantificare il danno, ad esempio, alla stregua dei perduti interessi bancari (in considerazione del più comune e normale impiego in denaro), o con valutazione equitativa, o mediante rivalutazione del credito non cumulabile con gli interessi legali. Cass. civ. sez. III, 28 marzo 1997

Al fine del riconoscimento del «maggior danno» di cui al secondo comma dell’art. 1224 codice civile, è consentito far ricorso alla presunzione di impiego della somma di denaro dovuta nella forma (quanto meno) del deposito bancario riguardo a qualunque creditore occasionale di rilevanti somme pecuniarie. In tal caso, il «maggior danno» conseguito dalla svalutazione monetaria verificatasi durante la mora va liquidato alla stregua del tasso di interesse bancario che il creditore avrebbe percepito dall’istituto di credito, sottraendosi dal maggior tasso che la banca avrebbe applicato a favore del creditore quello corrispondente al saggio legale degli interessi già attribuiti (nella specie, in applicazione dell’enunciato principio, la Suprema Corte ha cassato la sentenza del merito che aveva negato il riconoscimento del «maggior danno» al creditore di un’ingente somma da risarcimento del danno conseguito all’occupazione illegittima di un suolo edificatorio da parte della pubblica amministrazione ed alla successiva accessione invertita. In particolare, benché il creditore avesse prodotto un certificato attestante i tassi di interesse praticati in suo favore da un istituto di credito, la sentenza impugnata aveva affermato che egli, non appartenente ad alcuna categoria particolare di creditori, aveva omesso di fornire la prova del danno da svalutazione monetaria subito). Cass. civ. sez. III, 17 giugno 1996, n. 5548.

 

Nel caso di inadempimento di obbligazioni pecuniarie il creditore, il quale intenda ottenere il risarcimento dell’ulteriore danno non assorbito dal tasso legale degli interessi, ai sensi dell’art. 1224 comma secondo c.c. ha l’onere di allegare e provare la propria appartenenza ad una categoria economica (imprenditori, risparmiatori abituali, creditori occasionali, modesti consumatori). In mancanza di tale prova, deve escludersi sinanco la mera rivalutazione del credito in base all’indice di svalutazione elaborato dall’Istat, in quanto l’applicazione di tale indice, che è collegato al mero consumo, presuppone la prova anche presuntiva dell’appartenenza almeno alla categoria dei modesti consumatori. Cass. civ. sez. II, 1 dicembre 1995, n. 12422

In tema di obbligazioni pecuniarie (nell’ipotesi, quella dell’ente occupante per il pagamento dell’indennità di occupazione legittima, determinata in sede giudiziaria), mentre l’obbligazione di corrispondere gli interessi legali trova la sua fonte in una valutazione legislativa dell’esistenza e della misura minima del danno patito dal creditore, l’ulteriore pregiudizio ricollegabile alla mora del debitore non è presunto e deve essere, quindi, dimostrato dalla parte interessata, la quale, se può avvalersi di ogni mezzo di prova, non può limitarsi ad invocare generiche presunzioni, da desumere dalla notoria svalutazione, né da investimenti produttivi o acquisti non meglio indicati. Cass. civ. sez. I, 24 giugno 1995, n. 7159

In tema di inadempimento delle obbligazioni pecuniarie il risarcimento del maggior danno da svalutazione monetaria postula che il creditore, escluso ogni automatismo fondato sugli indici Istat, deduca e dimostri il pregiudizio in concreto da lui subito, avvalendosi di ogni mezzo di prova, con riferimento anche alla categoria economica di appartenenza. (Nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C. aveva determinato il maggior danno del creditore attraverso l’aumento del 2% del tasso degli interessi legali nel periodo in cui questo era stabilito nel 5% l’anno, mentre dopo che quel saggio è stato elevato al 10% l’anno ex art. 1 L. 26 novembre 1990, n. 353, aveva ritenuto che il maggior danno fosse interamente compreso nel nuovo saggio). Cass. civ. sez. III, 21 giugno 1995, n. 7024

In tema di inadempimento di obbligazioni pecuniarie, qualora il maggior danno lamentato consista unicamente nella differenza, su base annua, tra il saggio degli interessi legali previsto nel periodo in osservazione ed il tasso di svalutazione monetaria fissato dall’Istat, deve essere riconosciuta la sola rivalutazione per i periodi in cui la relativa percentuale sia superiore al tasso degli interessi legali, mentre nella ipotesi inversa sono dovuti solo questi ultimi. Cass. civ. sez. I, 7 giugno 2007, n. 13359

In tema di risarcimento del danno, mentre nei debiti di valore, pur se con le cautele necessarie ad evitare indebite locupletazioni del danneggiato, gli interessi decorrono dalla data dell’illecito, nei debiti di valuta, aggiungendosi il maggior danno rivalutato al lucro cessante costituito dagli interessi legali sulla sorte dovuta decorrenti dalla messa in mora, gli interessi sulla somma rivalutata decorrono dal momento della decisione. Cass. civ. sez. I, 28 gennaio 2000, n. 943

In caso di inadempimento di obbligazioni pecuniarie deve escludersi la possibilità di cumulo degli interessi legali e della rivalutazione monetaria, essendo consentito soltanto allegare l’esistenza di un maggior danno rispetto agli interessi ai sensi dell’art. 1224 c.c. L’anzidetto cumulo va, invece, riconosciuto per i debiti di valore, tra i quali è compreso anche quello di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, in quanto la rivalutazione monetaria e gli interessi sulla somma liquidata assolvono funzioni diverse, poiché la prima mira a ripristinare la situazione patrimoniale del danneggiato quale era anteriormente al fatto generatore del danno ed a porlo nelle condizioni in cui si sarebbe trovato se l’evento non si fosse verificato, mentre i secondi hanno natura compensativa, con la conseguenza che le due misure sono giuridicamente compatibili e pertanto debbono essere corrisposti anche gli interessi. Cass. civ. sez. II, 27 novembre 1997, n. 11937

In tema di pagamento di obbligazioni pecuniarie, il cosiddetto «maggior danno» non differisce, per natura e presupposti, dal danno liquidato nella misura degli interessi, e, pertanto, può avere ad oggetto solo l’eccedenza rispetto all’indennizzo già coperto dagli interessi moratori. Fine consegue che, una volta riconosciuto l’ulteriore risarcimento del danno sotto forma di rivalutazione monetaria, non può procedersi ancora alla liquidazione di interessi e rivalutazione anche con riferimento all’importo già calcolato quale rivalutazione della sorte capitale, atteso che questa – espressione del complessivo danno subito dal creditore no al momento della liquidazione – copre l’intera area del danno risarcibile e non consente spazi, se non sotto il profilo rigorosamente convenzionale, ad ulteriori pretese risarcitorie, cui deve ritenersi del tutto sostituita, configurandosi, in caso contrario, una duplicazione risarcitoria per il medesimo fatto – inadempimento in favore del creditore. Cass. civ. sez. lav. 21 marzo 1997, n. 2516

Il principio secondo cui, ex art. 1224, secondo comma, c.c. il maggior danno da svalutazione monetaria è cumulabile con gli interessi legali, non ha sofferto deroga a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 1 della legge 26 novembre 1990, n. 353, poiché detta norma, nel dettare il nuovo testo dell’art. 1284 c.c. mentre ha elevato al dieci per cento annuo il saggio degli interessi legali, non ha determinato alcun mutamento del regime di cui al menzionato art. 1224 c.c. Cass. civ. sez. II, 7 luglio 1995, n. 7501

Nelle obbligazioni pecuniarie gli interessi moratori accordati al creditore dal primo comma dell’art. 1224 c.c. hanno funzione risarcitoria, rappresentando il ristoro, in misura forfettariamente predeterminata, della mancata disponibilità della somma dovuta. Pertanto, qualora, in relazione alla domanda del creditore di riconoscimento del maggior danno ai sensi del secondo comma dello stesso articolo, si provveda all’integrale rivalutazione del credito, tale rivalutazione si sostituisce al danno presunto costituito dagli interessi legali ed è idonea, quale espressione del totale danno in concreto, a coprire l’intera area dei danni subiti dal creditore stesso no alla data della liquidazione, con la conseguenza che solo da tale data spettano, sulla somma rivalutata, gli interessi, verificandosi altrimenti l’effetto che il creditore riceverebbe due volte la liquidazione dello stesso danno e conseguirebbe più di quanto avrebbe ottenuto se la obbligazione fosse stata tempestivamente adempiuta. Cass. civ. sez. II, 3 febbraio 1995, n. 1307

Qualora, in conseguenza della risoluzione del contratto per inadempimento, nella impossibilità di restituzione della prestazione già eseguita, la parte inadempiente venga condannata a corrispondere alla parte non in colpa il corrispettivo pattuito con la rivalutazione dello stesso no alla data della decisione, la maggior somma riconosciuta per la svalutazione monetaria costituisce una forma di liquidazione del danno per il mancato pagamento e quindi va considerata ai fini della liquidazione del danno complessivo in modo da evitare che, tramite la liquidazione di altre voci di danno, si concretizzi una duplicazione (o, comunque, una sovrapposizione) che comporti per il contraente fedele un arricchimento ingiustificato e cioè più di quanto avrebbe conseguito dal contratto, se fosse stato regolarmente eseguito. Cass. civ. sez. I, 20 gennaio 1995, n. 625

Rispetto ai debiti di valuta (nella specie, indennità di espropriazione), la rivalutazione monetaria costituisce una delle possibili modalità di determinazione del «maggior danno», risarcibile a norma dell’art. 1224, comma 2, c.c. sempreché non si operi, in relazione al medesimo periodo di tempo, un’indebita duplicazione, cumulando detta rivalutazione con gli interessi legali, i quali spettano, invece sulla somma rivalutata, dal giorno della pronuncia giudiziale no al pagamento. Cass. civ. Sezioni Unite, 16 dicembre 1994, n. 10796

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