Art. 1207 – Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262 - Aggiornato alla legge 26 novembre 2021, n. 206)

Effetti

Articolo 1207 - codice civile

Quando il creditore è in mora, è a suo carico l’impossibilità della prestazione sopravvenuta per causa non imputabile al debitore (1256, 1673). Non sono più dovuti gli interessi (1282 ss.) né i frutti della cosa che non siano stati percepiti dal debitore (820; 446, 449 c.n.).
Il creditore è pure tenuto a risarcire i danni derivati dalla sua mora e a sostenere le spese per la custodia e la conservazione della cosa dovuta (391 c.n.).
Gli effetti della mora si verificano dal giorno dell’offerta (1208 ss.), se questa è successivamente dichiarata valida con sentenza passata in giudicato (324 c.p.c.) o se è accettata dal creditore.

Articolo 1207 - Codice Civile

Quando il creditore è in mora, è a suo carico l’impossibilità della prestazione sopravvenuta per causa non imputabile al debitore (1256, 1673). Non sono più dovuti gli interessi (1282 ss.) né i frutti della cosa che non siano stati percepiti dal debitore (820; 446, 449 c.n.).
Il creditore è pure tenuto a risarcire i danni derivati dalla sua mora e a sostenere le spese per la custodia e la conservazione della cosa dovuta (391 c.n.).
Gli effetti della mora si verificano dal giorno dell’offerta (1208 ss.), se questa è successivamente dichiarata valida con sentenza passata in giudicato (324 c.p.c.) o se è accettata dal creditore.

Massime

In materia di esecuzione forzata, il creditore è legittimato all’esercizio dell’azione esecutiva anche se destinatario di atto di costituzione in mora “credendi”, in quanto esso, e la conseguente offerta di restituzione, vale unicamente a stabilire il momento di decorrenza degli effetti della mora, specificamente indicati dall’art. 1207 c.c. ma non anche a determinare la liberazione del debitore, che resta subordinata, dalla legge, all’esecuzione del deposito accettato dal creditore o dichiarato valido con sentenza passata in giudicato. Cass. civ. sez. III, 29 aprile 2015, n. 8711

Il lavoratore che, ottenuta una pronunzia di conversione in un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato di una pluralità di rapporti di lavoro a termine, contrastanti con le previsioni della legge 18 aprile 1962 n. 230, non venga riammesso in servizio, ha diritto al ristoro del danno commisurato al pregiudizio economico derivante dal rifiuto di riassunzione del datore di lavoro, nei cui confronti trovano applicazione le regole sulla mora del creditore e in particolare quella concernente l’obbligo risarcitorio, fissata nell’art. 1206 (recte: 1207 N.d.R.) secondo comma c.c. con conseguente necessità di riconoscere al lavoratore il diritto alla retribuzione per l’attività lavorativa ingiustificatamente impeditagli, comprensivo del trattamento spettante ai dipendenti che svolgono analoghe mansioni. Nè; al fine di limitare il suddetto risarcimento e di attribuire invece al lavoratore, anche per il periodo successivo alla pronunzia di conversione, un trattamento retributivo commisurato alle scansioni temporali cicliche originariamente concordate tra le prestazioni dei singoli servizi prima di tale pronunzia (e quindi in concreto la sola retribuzione per i periodi nei quali, conformemente alle modalità originarie, vi sarebbe stata effettiva prestazione) può farsi riferimento al carattere sinallagmatico del rapporto, utilmente invocabile solo in relazione al periodo anteriore alla conversione, o a legittime pattuizioni relative alla misura ed alla quantità della prestazione lavorativa, pattuizioni la cui esistenza non può peraltro venir dedotta dal solo succedersi nel tempo di una pluralità di contratti a termine in violazione della cit. legge 230 del 1960, pena la sostanziale vanificazione dei precetti da questa stabiliti. Cass. civ. sez. lav. 18 marzo 2004, n. 5518

La convalida dell’offerta reale non coinvolge diritti indisponibili, ovvero attribuiti al soggetto per soddisfare un interesse generale e superiore a quello dei singoli, ma solo diritti patrimoniali meramente privatistici e dunque disponibili. Fine consegue che la controversia sulla validità dell’offerta reale può essere devoluta ad arbitri rituali e può essere definita in via negoziale, mediante un negozio di accertamento ovvero strumenti conciliativi o transattivi. Cass. civ. sez. III, 15 maggio 2003, n. 7520,

Le «spese per la custodia e la conservazione della cosa dovuta», che il creditore in mora, secondo la previsione dell’art. 1207 terzo comma c.c. è tenuto a rifondere al debitore, integrano una componente dell’obbligazione risarcitoria conseguente alla mora accipiendi, e, quindi, un debito di valore, come tale sottratto al principio nominalistico e suscettibile di rivalutazione monetaria. Cass. civ. sez. I, 21 gennaio 1985, n. 202

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