Ai sensi dell’art. 1030 cod. civ. non è configurabile una servitù prediale quando l’utilità a favore del fondo dominante, anche se fornita attraverso il fondo servente, sia legata ad un “facere” del proprietario di quest’ultimo, perché mancherebbe in tal caso il carattere dell’obiettività, come connotato duraturo e permanente, della soggezione di un fondo all’altro. (Nella specie, in applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito, la quale aveva escluso la sussistenza del possesso di una servitù di passaggio, in quanto l’accesso al fondo dominante attraverso un cancello posto sul fondo preteso servente era risultato comunque subordinato a specifiche richieste di ingresso e conseguenti autorizzazioni operate di volta in volta). Cass. civ. sez. II, 2 luglio 2014, n. 15101
In tema di servitù di passaggio, rientra nel diritto del proprietario del fondo servente l’esercizio della facoltà di apportare modifiche al proprio fondo e di apporvi un cancello per impedire l’accesso ai non aventi diritto, pur se dall’esercizio di tale diritto possano derivare disagi minimi e trascurabili al proprietario del fondo dominante in relazione alle pregresse modalità di transito. Ne consegue che, ove non dimostrato in concreto dal proprietario del fondo dominante al quale venga consegnata la chiave di apertura del cancello l’aggravamento o l’ostacolo all’esercizio della servitù questi non pupretendere l’apposizione del meccanismo di apertura automatico con telecomando a distanza o di altro similare rimedio, peraltro in contrasto col principio “servitù us in faciendo consistere nequit”. Cass. civ. sez. II, 27 giugno 2011, n. 14179
La servitù può comportare per il proprietario del fondo servente l’obbligo di un “facere”, purché esso costituisca solo un’obbligazione accessoria che non esaurisce l’intero contenuto della servitù in quanto volto solo a consentirne il completo esercizio.(Nella specie la Suprema Corte ha ritenuto compatibile con il contenuto di una servitù di passaggio l’obbligo di tagliare i rami ovvero di potare gli alberi che ne ostacolavano l’esercizio). Cass. civ. sez. II, 17 giugno 2010, n. 14622
Il diritto di proprietà può esser frazionato in senso orizzontale e quindi la proprietà del sottosuolo può appartenere ad un soggetto diverso dal proprietario del suolo e del fabbricato su esso insistente. In tal caso il rapporto tra i rispettivi proprietari non è di comunione perchè il fondo sottostante deve sopportare il peso dell’edificio sovrastante e quindi il rapporto tra le due proprietà è di servitù (servitù us oneris ferendi ). Pertanto, da un lato il proprietario del sottosuolo non deve, se sono necessarie opere di manutenzione o consolidamento per consentire l’esercizio di detta servitù sopportarne le spese, in applicazione dell’art. 1030 c.c. a meno che la legge o il titolo dispongano diversamente ; dall’altro egli non può diminuire o rendere più incomoda la servitù in applicazione dell’art. 1067 c.c. (principio affermato in fattispecie in cui il giudice di merito, per le opere di manutenzione e consolidamento della volta di una grotta su cui sovrastavano degli edifici, aveva posto a carico del proprietario di questa le relative spese, a norma dell’art. 1125 c.c. ritenuta inapplicabile dalla Corte cass. ). Cass. civ. sez. II, 21 aprile 2004, n. 7655
Il giudice del merito non può escludere tout court la costituzione contrattuale di una servitù a carico di un fondo il cui proprietario ha assunto l’obbligo di destinazione a verde, ritenendo, perciò solo, la configurabilità di un obbligo di facere, di natura personale, perché, invece, la destinazione a verde, mutuata dagli strumenti urbanistici in contrapposizione a quella edificatoria, in sé non obbliga a fare alcunché, ma limita negativamente il diritto di proprietà, non consentendo un’utilizzazione diversa, mentre la pattuizione dell’obbligo del proprietario di manutenzione del fondo è propter rem e compatibile con la servitù ai sensi dell’ultima parte dell’art. 1030 c.c. per conservare lo stato di fatto. Cass. civ. sez. II, 27 agosto 1998, n. 8511
Ai sensi dell’art. 1030 cod. civ. non è configurabile una servitù prediale quando l’utilità a favore del fondo dominante, anche se fornita attraverso il fondo servente, sia legata ad un “facere” del proprietario di quest’ultimo, perché mancherebbe in tal caso il carattere dell’obiettività, come connotato duraturo e permanente, della soggezione di un fondo all’altro. (Nella specie, in applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito, la quale aveva escluso la sussistenza del possesso di una servitù di passaggio, in quanto l’accesso al fondo dominante attraverso un cancello posto sul fondo preteso servente era risultato comunque subordinato a specifiche richieste di ingresso e conseguenti autorizzazioni operate di volta in volta). Cass. civ. sez. II, 2 luglio 2014, n. 15101
In tema di servitù di passaggio, rientra nel diritto del proprietario del fondo servente l’esercizio della facoltà di apportare modifiche al proprio fondo e di apporvi un cancello per impedire l’accesso ai non aventi diritto, pur se dall’esercizio di tale diritto possano derivare disagi minimi e trascurabili al proprietario del fondo dominante in relazione alle pregresse modalità di transito. Ne consegue che, ove non dimostrato in concreto dal proprietario del fondo dominante al quale venga consegnata la chiave di apertura del cancello l’aggravamento o l’ostacolo all’esercizio della servitù questi non può pretendere l’apposizione del meccanismo di apertura automatico con telecomando a distanza o di altro similare rimedio, peraltro in contrasto col principio “servitù us in faciendo consistere nequit”. Cass. civ. sez. II, 27 giugno 2011, n. 14179
La servitù può comportare per il proprietario del fondo servente l’obbligo di un “facere”, purché esso costituisca solo un’obbligazione accessoria che non esaurisce l’intero contenuto della servitù in quanto volto solo a consentirne il completo esercizio.(Nella specie la Suprema Corte ha ritenuto compatibile con il contenuto di una servitù di passaggio l’obbligo di tagliare i rami ovvero di potare gli alberi che ne ostacolavano l’esercizio). Cass. civ. sez. II, 17 giugno 2010, n. 14622
Il diritto di proprietà può esser frazionato in senso orizzontale e quindi la proprietà del sottosuolo può appartenere ad un soggetto diverso dal proprietario del suolo e del fabbricato su esso insistente. In tal caso il rapporto tra i rispettivi proprietari non è di comunione perchè il fondo sottostante deve sopportare il peso dell’edificio sovrastante e quindi il rapporto tra le due proprietà è di servitù (servitù us oneris ferendi ). Pertanto, da un lato il proprietario del sottosuolo non deve, se sono necessarie opere di manutenzione o consolidamento per consentire l’esercizio di detta servitù sopportarne le spese, in applicazione dell’art. 1030 c.c. a meno che la legge o il titolo dispongano diversamente ; dall’altro egli non può diminuire o rendere più incomoda la servitù in applicazione dell’art. 1067 c.c. (principio affermato in fattispecie in cui il giudice di merito, per le opere di manutenzione e consolidamento della volta di una grotta su cui sovrastavano degli edifici, aveva posto a carico del proprietario di questa le relative spese, a norma dell’art. 1125 c.c. ritenuta inapplicabile dalla Corte cass. ). Cass. civ. sez. II, 21 aprile 2004, n. 7655
Il giudice del merito non può escludere tout court la costituzione contrattuale di una servitù a carico di un fondo il cui proprietario ha assunto l’obbligo di destinazione a verde, ritenendo, perciò solo, la configurabilità di un obbligo di facere, di natura personale, perché, invece, la destinazione a verde, mutuata dagli strumenti urbanistici in contrapposizione a quella edificatoria, in sé non obbliga a fare alcunché, ma limita negativamente il diritto di proprietà, non consentendo un’utilizzazione diversa, mentre la pattuizione dell’obbligo del proprietario di manutenzione del fondo è propter rem e compatibile con la servitù ai sensi dell’ultima parte dell’art. 1030 c.c. per conservare lo stato di fatto. Cass. civ. sez. II, 27 agosto 1998, n. 8511
Ai sensi dell’art. 1030 c.c. solo il titolo o la legge possono imprimere all’attività personale del proprietario di un fondo la natura di elemento integrante di una servitù prediale, con conseguente applicabilità della tutela possessoria, in luogo dei rimedi previsti normalmente per l’inadempimento delle obbligazioni. Pertanto, ove sia proposta un’azione di reintegrazione a tutela del possesso di una servitù di presa e derivazione d’acqua, lamentando il mancato deflusso dell’acqua per il rifiuto, da parte dell’obbligato, delle attività a ciò necessarie (nella specie: di azionare la pompa elettrica e di aprire la saracinesca), è necessaria, ai fini dell’ammissibilità dell’azione esperita, l’accertamento dell’esistenza di un titolo legale o convenzionale idoneo a ricondurre la suindicata attività ad una fattispecie complessa, costituita da una servitù prediale con obligatio propter rem ad essa strumentalmente collegata. Cass. civ. sez. II, 18 giugno 1981, n. 4011
Il regime delle prestazioni accessorie di una servitù (nella specie: opere di manutenzione) stabilito dal titolo riguarda un’obbligazione propter rem – ossia legata al rapporto con la cosa oggetto della servitù e, come tale, destinata a trasmettersi con il trasferimento di quella res – e, pertanto, non può essere modificato che da altro titolo scritto e trascritto, in mancanza del quale detta obbligazione segna, con lo stesso originario regolamento, il trasferimento del bene asservito. Cass. civ. sez. II, 16 maggio 1981, n. 3221
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