(1) La rubrica del titolo primo cui appartiene il presente articolo è stata inserita dall’art. 2 del Protocollo n. 11, reso esecutivo con L. 28.08.1997, n. 296.
(2) La rubrica del presente articolo è stata inserita dall’annesso al Protocollo n. 11, reso esecutivo con L. 28.08.1997, n. 296.
È dichiarato costituzionalmente illegittimo, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, con specifico riferimento alla Regione Umbria – per violazione del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. – l’art. 7, comma 9- sexies , del d.l. n. 78 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2015. La disposizione impugnata dalla Regione Umbria – nel differire al 1° gennaio 2015 l’originario termine (30 settembre 2014) stabilito dall’art. 1, comma 122, della legge n. 190 del 2014 per valutare come non impegnate dalle Regioni le risorse del fondo di rotazione già destinate al PAC (piano di azione coesione), ai fini della loro riprogrammazione in favore di interventi a sostegno dell’occupazione – risulta irragionevole con particolare riferimento alla tempistica delineata nei confronti della ricorrente. Lo spostamento in avanti del termine ha permesso l’inclusione – intervenuta il 22 dicembre 2014, per effetto del d.m. n. 61 del 2014 – dei fondi di spettanza della Regione Umbria fra le risorse del PAC, ma al tempo stesso ha reso materialmente impossibile alla medesima Regione di evitare la perdita del finanziamento mediante l’impegno delle risorse stesse, imponendo di adottare i relativi atti di impegno nel ravvicinatissimo termine del 1° gennaio 2015, oltre il quale lo Stato poteva distrarle. (Corte Costituzionale – sentenza del 19 gennaio 2017, n. 13)
È costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 117, primo comma, Cost., l’art. 40, comma 1- bis , del d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, in legge n. 98 del 2013, nella parte in cui prevede che l’art. 3, comma 6, primo periodo, del d.l. n. 64 del 2010 si interpreta nel senso che alle fondazioni lirico-sinfoniche, fin dalla loro trasformazione in soggetti di diritto privato, non si applicano le disposizioni di legge che prevedono la stabilizzazione del rapporto di lavoro come conseguenza della violazione delle norme in materia di stipulazione di contratti di lavoro subordinato a termine. La disposizione interpretata (tramite un rinvio all’art. 3, quarto e quinto comma, della l. n. 426 del 1977), occupandosi del solo aspetto dinamico del rapporto negoziale, prevede il divieto, con conseguente nullità, dei “rinnovi” dei contratti a termine che comporterebbero la trasformazione degli stessi in contratti a tempo indeterminato. La norma censurata, invece, estende, con portata retroattiva, il divieto di conversione dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato anche ai casi di vizi genetici del rapporto negoziale. Essa, non enucleando una plausibile variante di senso della disposizione interpretata, lede sia l’affidamento dei consociati nella sicurezza giuridica, corroborato da un assetto normativo risalente, sia le attribuzioni costituzionali dell’autorità giudiziaria, giacché l’intervento normativo si ripercuote sui giudizi in corso, travolgendo gli effetti delle pronunce già rese. (Restano assorbite le ulteriori censure di violazione dell’art. 3 Cost.). Per l’affermazione che il giudice rimettente non deve rinnovare il giudizio sulla rilevanza se lo jus superveniens è applicabile solo pro futuro , v. la citata sentenza n. 205/2015. Per l’affermazione che la tutela dell’affidamento è principio connaturato allo Stato di diritto, v. la citata sentenza n. 209/2010. (Corte Costituzionale – sentenza del 11 dicembre 2015, n. 260)
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