1. La segretezza delle indagini
Nel procedimento penale le indagini, a mente dell’art. 329 c.p.p., sono coperte dal segreto. Pertanto, a meno che non siano stati compiuti determinati atti[1], l’indagato viene a conoscenza dell’esistenza di un procedimento a proprio carico solo al termine delle stesse[2]. È con la notifica dell’avviso di cui all’art. 415 bis c.p.p. [3] che egli viene reso edotto della conclusione delle indagini e dell’accusa mossa nei suoi confronti. L’atto in questione oltre a siffatta funzione informativa ne ha un’altra, primaria, che è quella difensiva. Ciò si evince dall’avvertimento ivi contenuto che la documentazione afferente alle indagini compiute è depositata presso la segreteria del pubblico ministero e che l’indagato e il suo difensore possono visionarla ed estrarne copia. Tale facoltà permette di conoscere gli atti su cui si fonda l’accusa e di esercitare una serie di prerogative difensive nei venti giorni successivi, anche al fine di offrire il proprio contributo per la ricostruzione dei fatti[4]. Vien da sé che, affinché l’avviso di cui all’art. 415 bis c.p.p. assolva alla propria funzione principale e il diritto di difesa sia effettivamente garantito, il pubblico ministero debba depositare l’intero compendio investigativo. Infatti, solo una discovery completa degli atti di indagine consente di predisporre la strategia difensiva più consona al caso concreto. Il deposito integrale è altresì garanzia di un giusto processo, in quanto “assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa” (testualmente art. 111 comma 3 Cost e di contenuto analogo l’art. 6 comma 3 lett. (a) e (b) CEDU.
2. La discovery incompleta
Non è infrequente che la discovery realizzata al termine delle indagini preliminari sia incompleta. Ci si riferisce sia all’omesso deposito di uno o più atti da parte dell’organo inquirente, sia a quello irrituale, in quanto successivo alla notifica dell’avviso di cui all’art. 415 bis c.p.p.
Con riguardo alla prima ipotesi, si pensi ad un atto che è soltanto richiamato dagli altri ma non è fruibile o, ancora, ad un atto della cui esistenza si scopre solo in dibattimento durante l’escussione di un testimone. Con riferimento alla seconda ipotesi, invece, si pensi ad un atto inserito successivamente alla notifica dell’avviso di cui all’art. 415 bis c.p.p. nel fascicolo trasmesso dal pubblico ministero al giudice con la richiesta di rinvio a giudizio ex art. 416 c.p.p.
È evidente che in tutti i casi sinora menzionati si realizzi un vulnus al diritto alla difesa, ragion per cui stabilire quali siano le conseguenze sanzionatorie di siffatta omissione è una questione di primaria importanza.
3.1. Le conseguenze sanzionatorie della discovery incompleta
Nel codice di rito non è presente alcuna disposizione che sanzioni l’incompleta discovery, in sede di avviso ex art. 415 bis c.p.p., del materiale investigativo. L’art. 416 c.p.p., infatti, prevede la nullità della richiesta di rinvio a giudizio qualora non sia stata preceduta dal suddetto avviso o dall’invito a presentarsi a rendere l’interrogatorio[5]. Al contempo, l’art. 429 c.p.p. sanziona con la nullità il decreto che dispone il giudizio in cui l’imputato non sia stato identificato in modo certo o in cui manchi o sia insufficiente l’indicazione di uno dei requisiti previsti dal comma 1 lett. c) e f) della medesima disposizione.
In assenza di un’espressa previsione normativa, per stabilire la tipologia di invalidità riscontrabile qualora il pubblico ministero ometta di depositare uno o più atti di indagine, occorre fare riferimento alle categorie generali previste dal codice.
Al riguardo, si registrano due indirizzi ermeneutici: uno per cui tale violazione comporta l’inutilizzabilità dell’atto omesso ed un altro per cui determina la nullità ex art. 178 comma 1 lett. c) c.p.p. della richiesta di rinvio a giudizio[6].
Prima di passarli in rassegna, deve osservarsi che il corretto inquadramento del tipo di invalidità processuale non rappresenta una questione prettamente teorica, ma ha importanti risvolti nella prassi, sia dal punto di vista della deducibilità del vizio, sia dal punto di vista degli effetti. Infatti, ai sensi dell’art. 191 comma 2 c.p.p., l’inutilizzabilità è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento. La nullità a regime intermedio, invece, a mente dell’art. 180 c.p.p., può essere solamente eccepita dal difensore e soggiace a limiti temporali ben precisi. Ne consegue che laddove il difensore non la eccepisse in udienza preliminare, gli sarebbe precluso riproporla, in caso di rigetto, in sede di questioni preliminari al dibattimento.
Per quanto concerne gli effetti, invece, l’inutilizzabilità comporta l’esclusione dell’elemento investigativo. In astratto, dunque, anche un atto contenente elementi a discarico per l’indagato non potrebbe essere posto a fondamento della decisione del giudice. La nullità, invece, implica la restituzione degli atti al pubblico ministero e la regressione del procedimento. Pertanto, in tal caso i tempi si allungano, a discapito dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo.
3.2. Gli indirizzi ermeneutici
Il primo orientamento, pressoché unanime nella giurisprudenza di legittimità[7], fa leva sul principio di tassatività[8] cui è improntata la materia delle nullità. In altri termini, la Corte di Cassazione afferma che l’incompleta discovery in sede di avviso ex art. 415 bis c.p.p. non possa determinare siffatta invalidità sull’assunto che né l’art. 416 c.p.p. né l’art. 429 c.p.p. lo prevedono[9]. L’ulteriore argomento di cui gli Ermellini si avvalgono per suffragare la tesi dell’inutilizzabilità è la difficoltà di ricondurre la mancata ostensione di uno o più atti di indagine alle ipotesi generali contemplate dall’art. 178 c.p.p.
Ulteriore assunto, infine, è quello per cui il diritto di difesa (invocato, come si vedrà, dall’orientamento che ravvisa la nullità) risulta tutelato anche laddove si qualifichi la violazione in termini di inutilizzabilità. Ciò in quanto, tale declaratoria ha l’effetto di espungere l’atto di cui l’indagato non aveva avuto contezza al termine delle indagini dal patrimonio conoscitivo e decisionale del giudice.
Per quanto concerne il secondo orientamento, che è quello maggiormente condiviso in dottrina[10] e solo di recente accolto in un’isolata pronuncia della giurisprudenza di legittimità[11], la richiesta di rinvio a giudizio sarebbe affetta da una nullità a regime intermedio ex art. 178 comma 1 lett. c) c.p.p. [12]. Nello specifico, il mancato o ritardato deposito di atti di indagine lederebbero il diritto di difesa dell’indagato ed in particolare il suo diritto di intervento. Ciò in quanto, le scelte investigative e processuali dello stesso sono orientate e necessariamente influenzate dal materiale investigativo di cui ha contezza. In altri termini, la discovery incompleta impedisce di esercitare appieno i diritti correlati alla notifica dell’avviso di cui all’art. 415 bis c.p.p. e di valutare con cognizione di causa se accedere ad un rito alternativo o proseguire nelle forme ordinarie.
Secondo tale filone interpretativo, solo il regresso del procedimento che consegue alla declaratoria di nullità consente di riparare il vulnus che l’indagato ha subìto al termine delle indagini preliminari, in quanto permette al pubblico ministero “la riedizione della sequenza procedimentale corretta”[13]. Risultato che non può raggiungersi con l’inutilizzabilità, in quanto non restituisce all’indagato le garanzie difensive privategli, ma si limita a espungere, dal materiale valido ai fini della decisione, l’atto non osteso.
Da ultimo, gli Ermellini precisano che la bontà ermeneutica di tali assunti non risulterebbe minata dalla mancata previsione negli artt. 416 e 552 c.p.p. della suddetta causa di nullità, essendo già accaduto che la Suprema Corte ritenesse nulle, ex art. 178 comma 1 lett. c) c.p.p., violazioni diverse da quelle ivi menzionate[14].
3.3. Le recenti aperture dei tribunali di merito
A seguito della pronuncia con cui la Corte di Cassazione è andata in netta controtendenza rispetto all’indirizzo consolidato, sempre più tribunali di merito ne stanno facendo proprie le argomentazioni.
Nel 2020, il Tribunale di Perugia[15] ha dichiarato la nullità della richiesta di rinvio a giudizio e degli atti successivi, in quanto l’organo inquirente non aveva depositato né antecedentemente né successivamente alla notifica dell’avviso di cui all’art. 415 bis c.p.p. svariati documenti, tra cui l’elaborato redatto dai consulenti tecnici del pubblico ministero in sede di accertamenti ex art. 360 c.p.p. In tale pronuncia, il Giudice ha affermato che solo la regressione del procedimento alla fase in cui si è verificata la lesione del diritto di difesa è in grado di “garantire una restitutio in integrum, ancorché postuma delle garanzie difensive”.
Nel 2021, il Tribunale di Ravenna[16] è pervenuto alle medesime conclusioni a causa del mancato deposito delle immagini estrapolate dal sistema di captazione video presente sul luogo di commissione del reato che ritraevano le condotte di cui all’imputazione. In tale ordinanza, il Giudice ha sottolineato la necessità che gli atti di indagine siano ostesi in concomitanza con la notifica dell’avviso di cui all’art. 415 bis c.p.p. perché in tale momento “il dispositivo di segretezza di cui all’art. 329 c.p.p. è destinato a recedere proprio per generare una forma di contradditorio anticipato”. L’organo giudicante ha altresì affermato che solo in tal modo si rende effettiva la tutela del diritto di difesa, in ossequio al disposto di cui all’art. 111 comma 3 Cost.
Nella medesima pronuncia, infine, si è evidenziata l’inadeguatezza della categoria dell’inutilizzabilità a sanzionare la violazione delle prerogative difensive oltre che dal punto di vista teorico[17] anche dal punto di vista pratico. Al riguardo, si è affermato che, qualora l’omissione riguardasse atti favorevoli all’indagato, con la declaratoria di inutilizzabilità si arrecherebbe pregiudizio allo stesso, in quanto sarebbero esclusi dal compendio probatorio. Inoltre, tale categoria porta con sé il rischio di sottrarre dalla cognizione del giudice elementi di prova talvolta decisivi “così ostacolando quell’attività di ricerca della verità, che è considerato il fine primario ed ineludibile del processo penale”.
Ebbene, nei due procedimenti appena analizzati, l’eccezione di nullità era stata sollevata in udienza preliminare, in cui era stata rigettata, per poi essere riproposta in sede di questioni preliminari al dibattimento ed essere accolta. Nel procedimento in cui è stata emessa l’ordinanza[18] su cui ci si sta per soffermare, invece, tale invalidità è stata eccepita addirittura durante l’escussione di un testimone, in quanto è solo in tale momento che la difesa si è resa conto dell’omissione del pubblico ministero[19]. Nello specifico, si trattava del verbale di sommarie informazioni rese in indagini da una persona che, nel dibattimento, era stata chiamata a testimoniare dall’organo inquirente. Tale atto, sebbene fosse stato ritualmente depositato nel fascicolo cartaceo dell’accusa, non era stato digitalizzato con il sistema T.I.A.P.[20].
La pronuncia risulta estremamente interessante sotto un duplice profilo: ci si domanda da un lato, se la parziale informatizzazione del fascicolo cartaceo possa essere equiparata all’omesso deposito; dall’altro, quale tipologia di invalidità possa configurarsi in tale ipotesi.
Il Tribunale di Spoleto ha risolto la prima questione in termini positivi, ritenendo irrilevante il fatto che, se la difesa avesse estratto copia del fascicolo cartaceo, avrebbe avuto conoscenza di tale atto. Ciò in quanto, il ricorso al T.I.A.P. è a discrezione dell’ufficio giudiziario e, laddove presente, la visione ed estrazione copia di atti digitali rappresenta una scelta per il difensore che non può essere penalizzata o avere conseguenze differenti a seconda della Procura in cui compie tale attività, pena la violazione dei principi di lealtà processuale[21] e del giusto processo[22]. Il Giudice conclude sul punto ritenendo che ciò vale, a maggior ragione durante l’emergenza epidemiologica da COVID 19, in cui, essendo opportuno limitare i tempi di permanenza nelle cancellerie, è preferibile l’accesso al fascicolo digitale piuttosto che a quello cartaceo.
Dopodiché, egli afferma che il vizio ravvisabile nella suddetta ipotesi di incompleta discovery sia una nullità a regime intermedio ex art. 178 comma 1 lett. c) c.p.p., essendo state compromesse le garanzie difensive dell’imputato[23]. A parere del Giudice, infatti, questi non è stato messo nella condizione di valutare compiutamente se chiedere un rito alternativo e di preparare al meglio l’udienza dibattimentale (non conoscendo le dichiarazioni rese in indagini dal testimone).
Tuttavia, nella pronuncia in commento si giunge a conclusioni parzialmente differenti rispetto alle altre in quanto il Tribunale di Spoleto ha dichiarato la nullità solo degli atti compiuti nel dibattimento. Ciò in quanto, afferma il giudicante, da un lato il pubblico ministero ha deciso di esercitare l’azione penale sulla base dell’intero compendio investigativo e dall’altro la parziale conoscenza ha privato della possibilità di esercitare le facoltà previste dall’art. 415 bis comma 3 c.p.p. In altri termini, il diritto di difesa sarebbe stato leso esclusivamente poiché gli sono stati sottratti elementi conoscitivi indispensabili per valutare forme alternative di definizione del giudizio e per una migliore preparazione al dibattimento. Per tali ragioni, la declaratoria di nullità ha determinato la regressione del procedimento, non alle indagini preliminari, ma alla prima udienza dibattimentale.
4. Osservazioni conclusive
A parere della scrivente, l’orientamento consolidatosi nella giurisprudenza di legittimità è opinabile e merita di essere rimeditato.
Preliminarmente, non può sottacersi che nella gran parte delle pronunce a sostegno della tesi dell’inutilizzabilità, la Corte si soffermi maggiormente a spiegare perchè la violazione non possa essere qualificata come nullità piuttosto che a enunciare le ragioni per cui dovrebbe essere ricondotta nell’alveo dell’inutilizzabilità.
Premesso ciò riguardo alla tecnica argomentativa, si ritiene che nel merito la categoria dell’inutilizzabilità sia inidonea a sanzionare l’ipotesi di omesso deposito di tutti gli atti di indagine in sede di avviso ex art. 415 bis c.p.p.
Infatti, a mente dell’art. 191 c.p.p., tale vizio riguarda il procedimento di formazione della prova che non può essere assunta in violazione dei divieti probatori previsti dalla legge. Nel caso oggetto di dibattito, invece, non si discorre delle modalità di acquisizione della stessa, ma della sua discovery che deve necessariamente avvenire al termine della conclusione delle indagini.
L’inosservanza di tale obbligo incide sul diritto di difesa in quanto sottrae all’indagato e al suo difensore la possibilità di esercitare, con piena cognizione di causa, i diritti e le facoltà di cui all’art. 415 bis comma 3 c.p.p. La produzione di documenti, il rilascio di dichiarazioni in sede di interrogatorio etc. non possono prescindere dalla cognizione completa del materiale raccolto dal pubblico ministero. É importante che il contributo argomentativo dell’indagato venga fornito al termine delle indagini e sulla base di tutti gli atti compiuti in quanto, si rammenti, potrebbe condurre l’inquirente a chiedere l’archiviazione del procedimento.
La piena consapevolezza e fruibilità del compendio investigativo, inoltre, incide anche sulle valutazioni in ordine alla scelta di accedere o meno ad un rito alternativo ed alla tipologia dello stesso. Infatti, è sufficiente rammentare in tale sede che, stante il disposto di cui all’art. 438 comma 6 bis c.p.p., la richiesta di giudizio abbreviato in udienza preliminare sana le nullità a regime intermedio[24].
A parere di chi scrive, solo la regressione del procedimento al termine delle indagini preliminari consente di riparare il vulnus causato da una discovery parziale. Infatti, la completa fruibilità del materiale investigativo al termine delle indagini è fondamentale anche nell’ottica del controllo della giurisdizione sull’esercizio dell’azione penale. Ciò in quanto, il giudice deve essere messo nella condizione di valutare compiutamente se gli atti raccolti dall’accusa sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio.
A ciò aggiungasi, infine, che l’impossibilità per la categoria dell’inutilizzabilità di riparare il vulnus al diritto alla difesa causato dall’incompleta discovery è ancor più evidente laddove l’atto non sia mai stato depositato, in quanto non si può certo espungerlo dal patrimonio conoscitivo del giudice. Al contempo, laddove l’atto non osteso fosse favorevole per l’indagato, dichiararne l’inutilizzabilità significherebbe sacrificare doppiamente il diritto di difesa.
Per tali ragioni, dunque, non si può che condividere l’orientamento minoritario per cui la nullità rappresenta il solo vizio in grado di sanzionare l’ipotesi in questione. Ciò, nonostante la regressione del procedimento comporti l’allungamento dei tempi del processo. Alla luce di un doveroso bilanciamento tra i diritti, essendoci in gioco la libertà personale, il principio di ragionevole durata del processo può essere sacrificato in nome del diritto di difesa.
In ogni caso, stante le numerose incertezze interpretative riscontrate, ci si auspica un intervento legislativo sul punto o, quantomeno, una pronuncia chiarificatrice da parte delle Sezioni Unite.