Alla ricerca della norma fondamentale
Il distopico e inimmaginabile periodo storico che stiamo vivendo ha dato origine ad una spasmodica legislazione emergenziale, nonché ad uno strumento giuridico sconosciuto ai più.
Chiunque, persino il giurista, si è interrogato, agli albori del 2020, ove si collocasse, nel sistema delle fonti di diritto del nostro ordinamento, il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. E innegabile che, anche scorgendo l’immagine che rappresenta la piramide gerarchica delle fonti di produzione del diritto, siffatto mezzo non balzi di certo agli occhi. Invero, come si dirà nel proseguo, il DPCM è una fonte dalla natura ambigua, essendo un atto formalmente amministrativo e solo eventualmente anche normativo.
È, altresì, un provvedimento che sfugge al controllo del Parlamento, detentore del potere legislativo, secondo il principio, “ancora in vigore”, della separazione dei poteri.
Il c.d. “diritto emergenziale” ha, di fatto, derogato e, secondo alcuni, violato norme di rango costituzionale, ed è proprio dalla Carta fondamentale che occorre muovere i primi passi, cercando, come direbbe Kelsen, la norma legittimante il potere1.
L’interrogativo prioritario che necessita risposta guarda all’esistenza o meno di una legittimazione costituzionale di atti normativi secondari derogatori di norme primarie2. Ebbene, a differenza di altri Paesi europei 3, la nostra Costituzione non contempla lo stato di necessità e, tale impostazione deve intendersi nel senso che l’emergenza non comporta affatto la sospensione delle norme costituzionali alle quali occorre obbedire, pena l’incostituzionalità, anche di fronte ad una pandemia.
A ben vedere, nell’art. 78 cost. è previsto che le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari, sebbene si ritenga che siffatta disposizione sia di stretta interpretazione e, dunque, non applicabile, in situazioni eccezionali di altra natura.
E allora quid iuris? Quale è la norma fondamentale legittimante la legislazione di emergenza?
A tale interrogativo è stato risposto che, nonostante non sia regolata a livello costituzionale, l’emergenza pandemica è prevista dal nostro ordinamento e precisamente nelle disposizioni di cui al d.lgs. 1/2018.
Invero, il codice della protezione civile, fonte normativa primaria, ha consentito al Governo il 31 gennaio 2020 di emanare la delibera recante la “Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili” , a seguito della quale sono stati adottati numerosi provvedimenti, al fine di arginare le conseguenze della diffusione del virus COVID-19. Primo tra tutti il d.l. 23 febbraio 2020, n. 6, (sostituito dal d.l. 25 marzo 2020 n. 9) anch’esso fonte normativa primaria in quanto atto avente forza di legge.
Verrebbe naturale concludere che le regole introdotte nell’ordinamento in forza del decreto legge non siano in contrasto con la Carta costituzionale che, all’art. 77, prevede espressamente l’utilizzo di tale fonte di produzione “in casi straordinari di necessità e d’urgenza”.
Sennonché, le maglie che hanno, di fatto, imbrigliato le libertà costituzionalmente garantite – quali, ad esempio, la libertà di circolazione nonché di riunione – hanno destato non poche perplessità. Infatti, il citato decreto legge ha demandato ad atti non legislativi l’emanazione di misure restrittive di libertà costituzionalmente garantite.
La controversa compatibilità del DPCM, atto amministrativo-normativo, con la Costituzione
Le libertà fondamentali convivono nella Costituzione, e nella stessa trovano il proprio limite, il punto di bilanciamento con altri interessi di pari rango.
La libertà di circolazione di cui all’art. 16, primo comma Cost., può essere limitata solo “per motivi di sanità o di sicurezza”. Parimenti, l’art. 17, terzo comma, Cost. prevede che “per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica” il diritto di riunirsi può subire una limitazione ove avvenga in un luogo pubblico.
Le barriere che restringono il campo della libertà di circolazione e di riunione sono controbilanciate dalla garanzia della riserva di legge: solo la legislazione ordinaria può comprimere tali diritti, sebbene neanche la legge può arrivare al punto di sospenderli4.
Come noto, al fine di tutelare la salute, quale diritto fondamentale dell’uomo, (art. 32, primo comma, cost.) siffatte libertà non sono state solo delimitate ma temporaneamente sospese.
Ebbene, le maggiori perplessità ed anche criticità che hanno destato la catena normativa dell’emergenza riguardano, in sostanza, l’utilizzo di atti amministrativi al fine di regolare ogni singolo spazio della vita dei cittadini che sfuggono al controllo del Parlamento, del Governo, del Presidente della Repubblica e della Consulta.
I DPCM sono, infatti, sottratti al controllo del Presidente della Repubblica, in sede di promulgazione, nonché al sindacato ex post della Corte Costituzionale, e, pertanto, sono del tutto insindacabili.
In contrasto al provvedimento d’urgenza ex art. 77 Cost. è stata attribuita una delega in bianco alla normazione secondaria, legittimata così ad adottare misure di limitazione di diritti e libertà fondamentali: il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri ha in buona parte disciplinato la materia in luogo del decreto legge.
Muovendo dall’assunto che nelle materie coperte da riserva di legge è possibile demandare, solo se relativa, alle fonti secondarie unicamente disposizioni di dettaglio necessarie all’esecuzione della legge stessa, appare censurabile, sotto il profilo della legittimità, il d.l. 6/2020 che dispone all’art. 2 : “Le autorità competenti possono adottare ulteriori misure di contenimento e gestione dell’emergenza al fine di prevenire la diffusione dell’epidemia da COVID-19 anche fuori dei casi di cui all’articolo 1, comma 1”.
La norma in parola, disponendo che l’atto amministrativo può – fuori dai casi disciplinati dallo stesso decreto legge – adottare “ulteriori misure”, ha destato non poche perplessità in ragione del fatto che non sono stati circoscritti i confini entro i quali queste misure possano operare.
Ed ancora, siffatto disposto, si pone persino in contrasto con la legge n. 400/1988. La disposizione di cui all’art. 15 della citata legge prescrive espressamente che: “I decreti devono contenere misure di immediata applicazione e il loro contenuto deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo”.
Se i decreti legge devono contenere misure specifiche e di immediata applicazione appare evidente che non possono delegare, al pari della legge delega riservata al Parlamento, una fonte secondaria a disciplinare porzioni rilevanti della vita dei cittadini.
Autorevoli commentatori hanno osservato che i DPCM sono andati oltre il concetto di incostituzionalità già espresso nei confronti di tali atti. Invero, è stato affermato che “Non sono solamente incostituzionali. Per essere tali, difatti, dovrebbero sostare all’interno del perimetro della Carta. Essi, invece, sono “oltre”, in nulla coperti dal bastione costituzionale, al di fuori del confine che circonda la Carta: non sono incostituzionali, bensì “acostituzionali” (“a” in veste di alfa privativo), in ragione della assenza della copertura costituzionale”.5
Senza voler minimizzare i contorni di una catastrofe che attanaglia l’umanità intera, mi sia consentito affermare che la pandemia non ha solo posto sotto stress il sistema sanitario nazionale, ma lo stesso sistema delle fonti dell’ordinamento giuridico.
Si auspica, in conclusione, che l’opera di delegificazione intrapresa sia frutto meramente della eccezionalità della crisi sanitaria, posto che un assetto democratico è incompatibile con uno Stato ove non vi sia certezza del diritto, vista la reiterata emanazione di DPCM in un ristretto lasso di tempo.
1 Cfr. H. Kelsen, Reine Rechtslehre (1934), in trad. it. “La dottrina pura del diritto”, Torino, Einaudi, 1961.
2 Cfr. M. Luciani, Il sistema delle fonti del diritto alla prova dell’emergenza, in “AIC”, 10.04.2020, 2.
3 A titolo esemplificativo: in Francia, l’art. 16 della Costituzione disciplina gli eventi eccezionali che giustificano i pieni poteri in capo al Presidente della Repubblica; in Spagna è la Costituzione, all’articolo 116, a prevedere lo “stato di allarme”; in Ungheria l’art. 48 della Costituzione: V. Servizio studi del Senato italiano, aprile 2020, 183, Emergenza da Covid-19 e misure sanitarie e socio-economiche: i casi di Francia, Germania e Spagna; un’analisi comparata è stata svolta anche dal Senato francese con studio: Sènat, ètude de lègislation comparèe, – Janvier 2006 – L’Èetat d’urgence 156.
4 la relazione predisposta in occasione dell’incontro della delegazione della Corte Costituzionale con il tribunale costituzionale della Repubblica di Polonia Varsavia,30-31 marzo 2006: I principi fondamentali della Costituzione, descritti negli articoli (1-12) e nella Parte prima relativa ai “Diritti e doveri dei cittadini”, caratterizzano, strutturandolo in profondità, l’ordinamento costituzionale: questo verrebbe letteralmente meno –trasformandosi in un ordinamento diverso –nel caso in cui detti principi non fossero osservati e fatti oggetto di specifica tutela. I valori elencati assumono in tal modo una valenza giuridica di tale “essenzialità”, da poter affermare che la stessa organizzazione dei pubblici poteri sia prevalentemente funzionale al loro svolgimento ed alla loro attuazione”. Cfr. I diritti fondamentali nella giurisprudenza della Corte Costituzionale”.
5 F. Giulimondi, La Costituzione ai tempi del coronavirus (sottacendo sulla “Costituzione sospesa”), in Foroeuropa, 2020, 2.