Il servizio di messaggistica istantanea e chiamate VoiP Whatsapp ha oltre due miliardi di utenti attivi nel mondo e ben 32,9 milioni di utenti in Italia.
Nel corso del 2016, dopo che nel Febbraio 2014 Zuckerberg ha acquisito la piattaforma per la cifra record di 14 miliardi di euro, è stata introdotto dai programmatori un sistema di crittografia end-to-end a protezione di messaggi, foto, video, messaggi vocali, documenti, aggiornamento allo stato e chiamate.
In cosa consiste la crittografia ent-to-end?
Per crittografia end to end, si intende che ogni chiamata fatta ed ogni messaggio inoltrato, potrà essere letto o ascoltato solo dagli interlocutori che utilizzano il servizio di messaggistica, poichè la cifratura del messaggio o della chiamata rende inaccessibili a terzi il suo contenuto.
Subito dopo l’introduzione di queste novità, ci si è chiesti come si ponesse l’azienda nei confronti della condivisione di informazioni e dati con le forze dell’ordine; la risposta della società non si è fatta attendere:
“… i rappresentanti delle forze dell’ordine possono anche inviare eventuali domande o contattare WhatsApp in situazioni di emergenza, come indicato di seguito. Per assicurare una risposta tempestiva, si raccomanda di non inviare richieste da parte delle forze dell’ordine all’Assistenza WhatsApp, né tramite altri canali non previsti per le forze dell’ordine.“.
La risposta lascia intendere che i nostri dati personali possono essere oggetto di richieste delle forze dell’ordine in situazioni di emergenza, e che, quindi, è possibile che molti dei nostri dati possano finire in possesso delle Autorità Giudiziarie.
Al contempo, la società, vuole tranquillizzare gli utenti dichiarando che nessuna traccia delle conversazioni transita sui loro server, e che sono soltanto in possesso di dati come numeri di cellulare, tipo di smartphone, rete mobile, numeri di persone contattate, dati sulle pagine web visitate tramite l’app, tempo e durata delle chat, indirizzi Ip, posizione e contatti.
Ciò vuol dire che i testi, le immagini e le nostre chiamate sono totalmente a sicuro?
La risposta è no.
Le Autorità Giudiziarie hanno altri strumenti per poter “rintracciare” le conversazioni, infatti, potrebbe bastare una banalissima applicazione, fatta installare con l’inganno, per poter avere una “cimice” nel telefono cellulare di un indagato.
Non si dimentichi che di recente vi sono state delle intercettazioni ambientali attraverso una attivazione da remoto del microfono del cellulare dell’intercettato.
Sul sito ufficiale dell’applicazione potrete trovare un utile documento dove viene descritta la policy aziendale dei rapporti con le forze dell’ordine.