Reati a condotta prolungata e concorso di persone: il ruolo del mero esattore inconcludente nel delitto di usura

Articolo a cura dell’Avv.ssa Marta Lorenzetto

1. L’iter criminis

Il reato come ogni fatto umano nasce, vive e muore ed è possibile osservare in esso la progressione criminosa nel suo divenire, distinguendo varie fasi.
L’iter criminis, nella sua massima estensione, si articola nell’ideazione, preparazione, esecuzione, perfezione e consumazione. Con l’ideazione il proposito criminoso nasce nella psiche del soggetto, con la preparazione questi comincia a progettare materialmente la commissione dell’illecito, predisponendo i mezzi necessari a tal fine e con l’esecuzione egli inizia ad esteriorizzare il piano criminale, ponendo in essere la condotta del fatto tipico.
La perfezione si ha qualora l’agente realizzi il minimum necessario di tutti gli elementi costitutivi del reato, mentre la consumazione si determina nel momento in cui egli estende l’offensività fino al raggiungimento del suo grado massimo.
A volte, perfezione e consumazione possono coincidere, come accade per i reati istantanei in cui l’offesa al bene giuridico, tutelato dalla norma penale, si realizza e raggiunge la sua massima gravità nello stesso momento (es. delitto di omicidio).
Ciò può anche non avvenire, come nei reati permanenti in cui è necessario che l’offesa al bene giuridico si protragga nel tempo per effetto della persistente condotta volontaria del soggetto. Si pensi al delitto di sequestro di persona, che si perfeziona quando viene posto in essere il minimum necessario alla configurazione di tutti gli elementi costitutivi del fatto tipico (privazione volontaria della libertà personale altrui per un tempo apprezzabile) e che si consuma soltanto con il raggiungimento del massimo grado di offensività in concreto possibile (es. il sequestratore viene interrotto dall’intervento della polizia o la vittima riesce a fuggire).

2. I reati a condotta prolungata

I reati ad esecuzione prolungata formano una categoria molto ampia, in cui è possibile individuare dei sottotipi (come il reato permanente di cui sopra) e presentano la principale caratteristica di conoscere uno sfasamento temporale tra la perfezione e la consumazione. Il loro tratto distintivo è dunque un iter criminis che si realizza nella sua massima estensione, il protrarsi o l’acuirsi della lesione del bene protetto nell’intervallo di tempo che intercorre tra la realizzazione del reato e il momento in cui la condotta cessa di sostenere l’offesa sul piano causale.
Nella macrocategoria rientra indubbiamente anche il reato abituale, per la cui sussistenza è richiesta la ripetizione intervallata di più condotte identiche od omogenee, quindi un sistema di comportamenti offensivi (ad es. i maltrattamenti in famiglia) e anche il reato a condotta reiterata senza abitualità (ad es. il delitto di atti persecutori) in cui è sufficiente che vengano posti in essere anche soltanto due atti idonei a produrre gli effetti prescritti dalla legge (il perdurante e grave stato d’ansia o di paura, il timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto e l’alterazione delle abitudini di vita).
Ancora, si possono annoverare i reati a condotta eventualmente prolungata, quando il legislatore disciplina un reato a fattispecie alternativa, come nel caso dell’usura, ove è punita la semplice promessa o in alternativa la dazione o la riscossione del capitale e degli interessi usurari.

3. Art. 644 c.p.: reato istantaneo o di durata e contributo concorsuale dell’esattore inconcludente

La distinzione tra perfezione e consumazione rileva sotto diversi profili.
In primis, ai fini della individuazione del dies a quo della prescrizione che, come prevede l’art. 158, comma 1 c.p., coincide con la cessazione della consumazione (la norma lo stabilisce espressamente per il reato permanente, ma lo stesso principio è stato esteso dalla giurisprudenza a tutti i reati di durata).
In secondo luogo, la distinzione incide sulla configurabilità del tentativo, poiché quest’ultimo, per definirsi tale, non può superare la soglia della perfezione. Oltre quel limite-massimo, quando sia già stata intrapresa la strada della consumazione, è infatti ontologicamente irrealizzabile il tentare di delinquere poiché si sono già verificati tutti i requisiti richiesti dalla singola fattispecie.
Ancora, la differenza influisce sulla sussistenza del concorso di persone nel caso in cui il terzo concorrente intervenga con il dolo di consumazione nel lasso temporale che intercorre tra le due fasi finali dell’iter criminis.
Quanto finora affermato porta ad interrogarci sulla configurabilità del reato d’usura rispetto alla condotta del mero esattore estraneo alla promessa, che intervenga con minaccia e violenza per la riscossione delle rate, senza peraltro riuscire nell’esito.
Come è noto gli elementi strutturali del concorso di persone nel reato sono: la partecipazione di almeno due soggetti, la realizzazione di un reato (consumato o tentato), il contributo concorsuale di ciascuno di essi. Quest’ultimo deve avere una necessaria efficacia eziologica sul piano causale rispetto alla commissione di quel determinato reato da valutarsi in concreto (come chiarito dalle Sezioni Unite Mannino nel 2005 in materia di concorso esterno in associazione mafiosa). Il giudice, infatti, è tenuto ad operare un giudizio a base totale ex post, volto a verificare se il contributo sia risultato utile alla perfezione e/o alla consumazione del reato. Infine, serve il dolo di partecipazione, coincidente con la rappresentazione e volontà sia del fatto tipico sia di concorrere con altri nella commissione del reato.
Per quanto riguarda l’usura, abbiamo detto trattarsi di un reato a condotta prolungata, ma in dottrina la questione non è pacifica.
Prima della riforma, intervenuta con la legge 108/1996, tale delitto era ritenuto unanimemente un reato istantaneo, in quanto tutto il disvalore della condotta era incentrato sull’approfittare dell’altrui stato di bisogno, che avveniva nel momento della promessa e quindi la riscossione era considerata un semplice post factum non punibile.
Dopo la riforma, invece, il disvalore si è incentrato sull’usurarietà degli interessi oggetto di dazione o di promessa e, pertanto, una parte consistente della dottrina ha iniziato ad evidenziarne i tratti di un reato a condotta eventualmente prolungata, che può perfezionarsi e consumarsi nello stesso momento, se si realizza la sola promessa o la sola dazione, ma che, se alla promessa segue la riscossione, si consuma esclusivamente con il verificarsi dell’ultima riscossione.
Tuttavia, ad oggi, autorevole dottrina reputa ancora valida la classificazione del delitto di usura come reato istantaneo per varie ragioni:

a) perché l’offesa si esaurirebbe con la promessa o con la dazione (se non vi è promessa);
b) perché i reati permanenti presuppongono dei beni indistruttibili, ma comprimibili, invece qui si realizza la distruzione o menomazione del patrimonio della vittima;
c) infine, perché l’offesa perdurante (in caso di versamenti periodici dei compensi usurari) non costituisce che l’effetto dell’esecuzione dell’originaria pattuizione e non di una condotta prolungata dell’agente.

Aderendo alla tesi che qualifica l’usura come reato istantaneo, il mero esattore che, estraneo alla promessa, intervenga con minaccia e violenza per la riscossione delle rate senza riuscire nell’esito, non potrebbe concorrere nel reato in quanto quest’ultimo si è già perfezionato e consumato con la sola promessa.
Al contrario, accogliendo la tesi che classifica l’usura come reato a condotta prolungata, nella intercapedine esistente tra la promessa e la riscossione (che segnano rispettivamente perfezione e consumazione del reato), può configurarsi il concorso del terzo, a patto che si verifichino due condizioni: a) che effettivamente il terzo proceda alla riscossione perché il contributo, come innanzi precisato, deve avere efficacia eziologica sul piano causale, deve cioè essere realmente utile alla consumazione del reato e condurre l’offesa alla sua massima estensione; b) il soggetto terzo deve disporre del dolo di partecipazione, dato dalla rappresentazione e volontà del delitto di usura e di concorrere con l’autore della promessa nella commissione del reato.
Le ragioni per le quali il concorso, pur accogliendo la tesi dell’usura come reato di durata, è da ritenersi comunque escluso rispetto al mero esattore inconcludente sono le seguenti:

a) il contributo del terzo, in quanto fermatosi al tentativo, non ha efficacia causale rispetto all’aggravamento dell’offesa (consumazione) ed è pertanto inutile;
b) se il terzo è “estraneo” alla promessa, ciò significa non solo non aver partecipato ad essa, ma non esserne neppure a conoscenza e, dunque, egli sarebbe sprovvisto del dolo di partecipazione.

Il mero esattore non può rispondere neppure di tentativo di usura perché tale delitto si perfeziona con la semplice promessa (che qui c’è stata) e l’usura tentata non è configurabile oltre quel momento dell’iter criminis.
In via residuale, comunque, il soggetto potrà essere ritenuto responsabile di un altro delitto monosoggettivo rappresentato nel caso di specie dalla tentata estorsione, ai sensi del combinato disposto degli artt. 56 e 629 c.p., avendo agito con violenza e minaccia per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, senza peraltro riuscirci.
In conclusione, stabilire se un reato si sia già perfezionato, ma debba ancora consumarsi e possa dunque essere qualificato come reato a condotta prolungata, appare assolutamente determinante ai fini dell’inquadramento della responsabilità penale del terzo.
Infatti, se quest’ultimo interviene dopo la perfezione, ma prima della consumazione, a patto che ci sia il dolo di partecipazione e sempre che egli fornisca un utile contributo concorsuale, il suo comportamento sarà qualificabile come concorso.
Se, al contrario, il delitto si sia già consumato oppure si tratti di reato istantaneo, allora la condotta del terzo potrà essere tutt’al più qualificata come un autonomo reato monosoggettivo.