Nuove forme di “genitorialità”. Coppie omosessuali. Interesse del minore

Il concetto di genitorialità ha subito, nel corso degli anni, un’evoluzione parallela a quella della concezione di famiglia. La famiglia, intesa inizialmente in senso patriarcale e fondata esclusivamente sull’istituto del matrimonio, ha assunto negli anni un’accezione differente accompagnata dal mutamento sociale e culturale e risulta, oggi, libera dai vincoli biologici e di genere che la caratterizzavano nell’antichità. Tutto ciò ha radicalmente rivoluzionato anche l’atteggiamento nei confronti della procreazione.

1. Il contesto storico sociale

Il codice civile del 1942, sulla scorta del codice unitario, aveva mutuato una concezione di famiglia “istituzionalizzata” fondata sul matrimonio esclusivamente eterosessuale ed indissolubile. Tale modello rispecchiava la società preindustriale dei tempi, laddove la famiglia era intesa quale unità economica e produttiva stabile, su base gerarchica e patriarcale. L’ordinamento fascista, poi, facendo suo tale schema, riteneva la famiglia nucleare il motore pulsante per la veicolazione dei principi della morale e del sentimento nazionale fascista, fondato sull’autoritarismo e la separazione dei ruoli – su base definita ‘biologica’ – dei coniugi.
Il libro primo del codice civile è costellato di articoli che, di riforma in riforma, sono stati modificati od abrogati, così rispecchiando l’avanzare di nuove istanze sociali.  L’art. 144 c.c. previgente alla riforma del diritto di famiglia del 1975, in maniera dirimente, quale specchio dei tempi, disponeva che “il marito è il capo della famiglia, la moglie segue la condizione civile di lui, ne assume il cognome ed è obbligata ad accompagnarlo dovunque egli crede opportuno di fissare la sua residenza”, l’art. 316 c.c., ancora, disponeva che il figlio fosse soggetto alla potestà esercitata dal padre, e solo nel caso della morte/assenza di lui, esercitata – sussidiariamente – dalla madre.

2. La Costituzione

L’avvento della Costituzione ha senza dubbio comportato una rivoluzione, anche se per almeno un decennio inattuata a pieno, nella disciplina del diritto di famiglia.
L’art. 29 Cost., infatti, al comma 2 sancisce l’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, quale diretta esplicazione dei principi di solidarietà sociale (2 Cost.) e d’uguaglianza formale e sostanziale (3 Cost.). L’approdo della carta costituzionale smantella dunque la concezione precipuamente patriarcale dai toni pubblicistici, divenendo servente rispetto ad un modello sociale di famiglia creata dal ‘basso’. Pertanto, dal 1948, la famiglia viene intesa quale unione materiale e spirituale da parte di due esseri umani (sebbene eterosessuali), non per forza preordinata alla procreazione e alla genitorialità, e finalizzata al pieno ed integrale sviluppo della persona umana.
Resta fondante, come si legge dall’art. 29 Cost., il matrimonio, ma non nel senso pregnante del passato, bensì quale atto attraverso il quale si esplica la società naturale della famiglia. La dottrina ha rilevato infatti che si è approdati alla concezione di atto-matrimonio come una entità storico-reale avente la finalità costitutiva di un rapporto eretto in nome della solidale e partecipata comunione di vita tra i coniugi. È chiaro che la Costituzione per quanto rivoluzionaria rispetto allo status quo ante abbia preservato un favor nei confronti della famiglia legittima, ciononostante è del tutto eversiva quella lettura volta a pervenire alla non legittimazione di altre tipologie di ‘famiglie’ discostanti dal modello prevalente. L’articolo 2 è, di fatto, fons fontium di tutte le formazioni sociali esplicative della persona, quant’anche nella forma di stabile convivenza tra persone same-sex.

3. Formazione sociale

La Corte Costituzionale, non a caso, ha più volte ribadito che per formazione sociale ex art. 2 Cost. si intende ogni forma di comunità idonea a consentire a favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, annoverandovi anche l’unione omosessuale, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendo – nei modi e limiti legali – pieno riconoscimento giuridico.
Tale riconoscimento, tuttavia, non può ricavarsi dall’esplicazione dell’art. 29 Cost. che, per tabulas, esclude l’equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio, ed è per tali motivi che, a seguito del monito della Corte Costituzionale, il legislatore ha fatto seguito con la legge n. 76 del 2016 che ha introdotto le unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplinato alcune forme di convivenza more uxorio.
L’estro sociale e dottrinale a cui ha fatto seguito un consolidamento giuridico ha fatto sì che da una concezione esclusiva di ‘famiglia legittima fondata sul matrimonio’ si potesse parlare di tutela costituzionale “delle famiglie”, declinate al plurale, sorpassando in maniera prorompente l’univocità formale e sostanziale tra famiglia e matrimonio.

4. Le fonti e la giurisprudenza comunitarie

Oltre gli interventi giurisprudenziali, ad onore del vero, le fonti comunitarie hanno contribuito ad una nuova concezione di modelli familiari, avviando un vero e proprio processo di pluralizzazione delle famiglie. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea prevede all’art. 9 alternativamente “il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia”. L’art. 12 della Cedu, invece, prevede che “uomini e donne in età adatta hanno diritto di sposarsi e di formare una famiglia”, entrambe le norme, tuttavia, sono sottoposte alle leggi interne che disciplinano l’esercizio di tali diritti.
Tali Carte hanno indubbiamente contributo a disancorare la famiglia dal requisito del matrimonio e, come eminentemente visibile dal dato letterale dell’art. 12, dal sesso dei coniugi.

5. L’interesse del minore

Or bene, gettate le basi ricostruttive preliminari, è il caso di soffermarsi sui componenti dell’unità familiare alla quale l’ordinamento nazionale ed internazionale ha sempre affidato protezione e, diversamente dal passato, protagonismo: i minori.
La Costituzione, le carte dei diritti comunitarie ed i trattati internazionali prevedono a più riprese la tutela del minore che, da un mero “oggetto” di diritto, con l’evolversi della società democratica e dei diritti umani, è divenuto “soggetto”.
Sul piano interno l’art. 30 Cost. prevede il dovere ed il diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio, assicurando a quest’ultimi la tutela giuridica e sociale.
L’art. 315 bis c.c., inserito dalla riforma sulla filiazione del 2012, specifica che il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni naturali e sue ispirazioni. Il comma 2 consacra il diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti.
Sul piano esterno, la Convenzione sui diritti del fanciullo di New York (1989) delinea uno statuto organico e completo dei diritti del minore, annunciando nel preambolo e nel corpo di essa, il riconoscimento che il fanciullo, ai fini dello sviluppo armonioso e completo della sua personalità, deve crescere in un ambiente familiare, in un clima di felicità, di amore e di comprensione.
Ex plurimis, la Cedu che riconosce il diritto al rispetto della propria vita privata e familiare (art. 8).
L’evoluzione del concetto di ‘famiglie’ da un lato, e l’importanza affidata alla crescita socio-individuale dei minori dall’altro, ha comportato per la Corte Europea dei Diritti Umani e la Corte di Cassazione una vera e propria modulazione del concetto di “genitorialità”.  Nella specie si è rilevata la prevalenza dei rapporti affettivi instaurati dal minore rispetto ai vincoli biologici che non sono più, per ciò solo, preminenti.
La filiazione dunque non esiste solo quando vi è lo stato di figlio (con la nascita, l’adozione) ma anche quando un adulto si è assunto la responsabilità della crescita del minore. In una sentenza specifica dalla Cassazione inerente al danno non patrimoniale da uccisione del figlio del proprio partner, la Corte rileva, ai fini del riconoscimento, la durata della convivenza col minore, la diurnitas delle frequentazioni, il mutuo ascolto e l’assunzione concreta di tutti quegli oneri e potestà che normalmente incombono sul genitore de iure.
In tale sentenza la Corte adopera la concezione di ‘genitore di fatto’, riconoscendo una vera e propria genitorialità fondata sul rapporto e sull’assunzione dei doveri genitoriali. Tali requisiti sono inoltre previsti nella legge 184/1983 sull’adozione all’art. 4 co.5 bis introdotto nel 2015 dalla legge rinominata “sulla continuità effettiva”, in cui si prevede che, qualora la famiglia affidataria chieda di poter adottare il minore, il tribunale per i minorenni nel decidere sull’adozione, dovrà considerare i legami affettivi ed il rapporto consolidato tra il minore e la famiglia affidataria. 
Questo riconoscimento fattuale ha innestato una questione di notevole rilevanza inerente alla tutela, del minore e del genitore di fatto, nel caso in cui il rapporto di coppia, di convivenza, approdi ad una fase patologica o si disgreghi completamente. Sul punto, una parte della dottrina e della giurisprudenza rinviene uno strumento di tutela contenuto nell’art. 337 ter c.c., per il quale è previsto per il figlio minore il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e parenti.
Tale orientamento, prendendo piede da tale disposizione, effettua un’evoluzione “costituzionalmente” o rectius, di diritto vivente, orientata, rivenendo la possibilità per il minore di mantenere un rapporto con soggetti diversi da quelli elencati dall’art. 337 ter c.c. Un elenco, dunque, da concepire in maniera non tassativa e passibile di integrazioni avendo riguardo, caso per caso, degli idonei con i quali il minore abbia intessuto rapporti affettivi di una certa stregua significativa.
L’orientamento, tuttavia, non è stato recepito dalla Corte Costituzionale che, invece, esprimendosi sulla questione di legittimità dell’art. 337 bis c.c. per il quale la Corte di merito rilevava un vuoto di tutela per il genitore di fatto, ha rivenuto la tutela nell’art. 333 c.c. relativa ai comportamenti pregiudizievoli al figlio. Nel caso dunque di interruzione ingiustificata del rapporto col genitore di fatto che provochi pregiudizio al minore, su richiesta del pretermesso, il giudice potrà adottare provvedimenti convenienti al caso concreto.
La sentenza non ha comunque risolto le criticità sollevate dalla dottrina. L’art. 333 c.c. infatti non contempla tra i soggetti legittimati a proporre istanza al giudice il genitore di fatto, riconoscendola tuttavia a parenti (anche non prossimi).
Per risolvere tale obiezione si è proposto di interpretare in maniera estensiva la nozione di ‘genitore’, garantendo, come previsto dall’art. 8 CEDU, una tutela effettiva della vita familiare.

6. Nuove frontiere della genitorialità

È chiaro che quando si parla di nuove frontiere della genitorialità bisogna riferirsi al diritto all’autodeterminazione in materia procreativa e dunque al diritto di avere figli, anche non biologici, tramite tecniche PMA.
La scelta di diventare genitori si rinviene nella generale libertà di autodeterminarsi, ed è un diritto riconosciuto dalla Costituzione dagli artt. 2, 3 e 31 Cost., pertanto le limitazioni a tale esercizio del diritto devono essere giustificate dalla tutela di interessi di pari rilievo.
Nel nostro ordinamento, tuttavia, persistono dei limiti ispirati da convincimenti di ordine etico (si pensi alla legge 40 del 2004, le cui criticità – limiti di embrioni, conservazione degli stessi – sono state smantellate dagli interventi della Corte Cost. La medesima legge, ancora oggi, prevede il divieto (con sanzione penale) di maternità surrogata che consiste quando la madre cd. “gestazionale” non è componente della coppia che costituirà il nucleo familiare. La ratio del divieto è da rinvenire nella tutela della dignità della donna e della maternità, sottoposta a svilimento qualora fosse interconnessa ad una pratica commerciale.
Su quest’ultimo rilievo, bisogna specificare che la maternità surrogata è oggetto di intenso dibattito dottrinale e giurisprudenziale, specie per quanto riguarda i casi in cui le coppie praticano maternità surrogata in Paesi in cui è consentita. Negli altri Stati dove tale pratica è consentita, i genitori-committenti della nascita del bambino assumono il ruolo di genitori “sociali” del bambino, indipendentemente da un legame biologico col medesimo (senza dover distinguere tra surrogazione omologa, eterologa o mera eterologa), una volta formato il certificato di nascita, i genitori sociali richiedono all’autorità consolare straniera di trasmetterlo al comune di residenza in Italia, normalmente senza mai specificare di aver fatto ricorso alla surrogazione. Con tale modalità per così dire “elusiva”, anche in Italia vale lo status di filiazione riconosciuto all’estero.
Alcune Corti di merito nei casi in cui si sono occupate di casi di maternità surrogata, contrapponendosi ad un orientamento contrario, dinanzi a trascrizioni rifiutate dagli ufficiali di stato civile per ragioni inerenti all’ordine pubblico, hanno invece promosso il cd. best interest of the child, riconoscendolo preminente alla clausola di ordine pubblico che, invece, ove giudicato prevalente, potrebbe compromettere gli interessi e i diritti del minore.
Le Sezioni Unite nel 2019 hanno tuttavia frenato tale orientamento, ritenendo che il riconoscimento del provvedimento giurisdizionale straniero in cui si riconosce rapporto di filiazione tra minore nato all’estero mediante ricorso alla maternità surrogata a genitore d’intenzione italiano contrasta con l’ordine pubblico internazionale. Il principio di ordine pubblico si rinviene nel divieto della surrogazione ex art. 12 co.6 della legge 40/2004 che, come poc’anzi richiamato, tutelerebbe la dignità umana della gestante dallo svilimento, ad esempio, attraverso l’uso di pratiche commerciali, della maternità. Una ratio che, tuttavia, non spiegherebbe l’evidenza del divieto dinanzi a pratiche di surrogazioni per motivi solidaristici.
In merito alla genitorialità omosessuale, tale sentenza richiamata distingue due casi che per la Corte non possono essere equiparati.
Da un lato si pone la richiesta di trascrizione dell’atto di nascita da parte di due padri cd. intenzionali (o committenti) che hanno usufruito di maternità surrogata all’estero, dall’altro si colloca la trascrizione dell’atto di nascita di bambino nato mediante fecondazione eterologa da parte di una coppia di donne coniugate.
In quest’ultimo caso, le due donne hanno contributo alla fecondazione (con la messa a disposizione dell’ovocita da parte di una delle due donne), sia alla gestazione (con la gravidanza sopportata dall’altra donna), mancando dunque solo l’apporto maschile. Tale formula “incrociata” è da distinguere dalla maternità surrogata in quanto, quest’ultima, si connota per l’obbligazione di portare avanti una gravidanza nell’interesse di altri.
Or dunque, sintetizzando quanto sinora detto, la maternità surrogata all’estero paga lo scotto del divieto presente nel nostro ordinamento quale espressione di principio di ordine pubblico, la fecondazione eterologa è invece ammessa dal nostro ordinamento sebbene, come nel caso appena richiamato, è sanzionato (illecito amministrativo) dalla legge 40/2004 nel caso vi facciano accesso coppie dello stesso sesso.
Le Sezioni Unite, una volta operata questa distinzione, si soffermano sui casi giurisprudenziali precedenti che hanno ammesso la trascrivibilità degli atti di nascita di bambini nati all’estero con tecnica di maternità surrogata. Dal costrutto ricavabile dalla sentenza si ritiene che le SSUU giustifichino i precedenti, dato che nel nostro ordinamento il dato biologico non è requisito essenziale per la costituzione dello status filiationis, affermando rilievo giuridico alla genitorialità sociale quando siano presenti i requisiti di oneri genitoriali sopportati, contesto emotivo e sentimentale, coabitazione.
La sentenza delle SSUU ha sollevato notevoli criticità in dottrina, ove si è evidenziato che tale prevalenza affidata all’ordine pubblico, poiché riferita ad un presunto precedente bilanciamento attuato dal legislatore quando ha formulato il divieto, comporterebbe il precipuo soccombere dell’interesse del minore qualora il rapporto familiare non sia connotato da criteri di temporalità/genitorialità sociale, come nei casi di figlio neonato.
La sentenza delle SSUU del 2019 onde pervenire ad una soluzione per i genitori intenzionati omosessuali sprovvisti di apporto biologico fa riferimento all’art. 44 della legge n.184/1983 lettera d) “quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo”. Questa motivo di adozione particolare, mutuando l’istituto di common law, ha preso il nome di stepchild adoption.
Sebbene tale pratica abbia il merito di poter strutturare un rapporto trilaterale nei casi in cui i genitori intenzionati siano compresenti al genitore biologico comportando la figura inedita del “terzo genitore”, nel caso di un “progetto procreativo” a monte proveniente da coppie same sex tale soluzione appare come un ripiego, non potendosi sentire un genitore ma un ‘altro genitore’ tout court.
Bisogna inoltre specificare che l’adozione risulta essere una pratica difficile in termini burocratici e tempistici, uno scotto che volta le spalle a quella “vera e propria tutela effettiva dei diritti del minore” al riconoscimento del legame coi genitori intenzionali, così come già ribadito dalla Corte Edu.