Mobbing: Guida legale

Il mobbing è un fenomeno sociale che viene sempre maggiormente denunciato sui luoghi di lavoro. In realtà si tratta di un concetto che può trovare applicazione anche nella normale vita sociale. Di seguito verrà approfondito il concreto significato della parola mobbing e delle diverse tipologie individuate fino ad oggi. Sarà chiarito anche il rapporto intercorrente tra il mobbing e il diritto penale.

1. Cosa si intende con il termine mobbing e da dove deriva?

Il termine mobbing è spesso associato al mondo del lavoro, ma il significato risiede in un preciso comportamento che porta la vittima ad uno stato d’animo che può sfociare in vere e proprie patologie. I comportamenti caratterizzanti una condotta mobbizzante possono ritrovarsi in diversi contesti sociali, quali ad esempio la famiglia, la scuola (bullismo) ecc.
Il mobbing è una parola di derivazione anglosassone che vuol dire letteralmente “molestare”, “vessare”.
I primi studi in ambito psicologico, infatti, risalgono alla seconda metà del secolo scorso e si concentravano più che sull’ambito lavorativo, sull’ambito sociologico in generale.
Nel mondo del lavoro il concetto di mobbing è stato introdotto sul finire degli anni ottanta dal dottor Leymann, psicologo svedese, che utilizzò tale termine per descrivere delle forme di persecuzione poste in essere da alcuni colleghi (mobbing orizzontale) o dal datore di lavoro (bossing o mobbing verticale) nei confronti di un lavoratore.
Concretamente questo fenomeno è caratterizzato da molestie continue ed aggressioni psicologiche in ambito lavorativo, ed ha come scopo finale quello di creare un grande disagio nei confronti della vittima che potrà essere addirittura indotta ad abbandonare spontaneamente il posto di lavoro. Dopo che si è constatato in maniera scientifica, che questo grave stato di disagio sfocia in un reale compromissione dello stato di salute della vittima, il mobbing è oggetto di studi costanti nella branca della medicina del lavoro.
Per avere un riferimento generico sull’attività di mobbing pare congrua l’associazione con il fenomeno del bullismo, che dovrà però essere rapportato al mondo adulto.

2. Classificazioni di mobbing

I soggetti, le situazioni e le metodologie di attuazione del mobbing possono essere diverse. Per questo, le tipologie di mobbing possono essere sinteticamente classificate in questo modo:

  • Mobbing verticale: i comportamenti vessatori subiti dal lavoratore provengono dal datore di lavoro o comunque da altro lavoratore in posizione gerarchica superiore;
  • Mobbing orizzontale: i comportamenti oppressivi e ripetuti nel tempo dal lavoratore provengono da un collega e, quindi, da altro lavoratore che si trova nella stessa posizione gerarchica.

A queste prime due generiche categorie seguono alcuni tipi di sottocategorie, che potranno essere attuate sia dal datore di lavoro che dai colleghi e consistono in:

  • Mobbing combinato: azioni persecutorie attuate sia in senso orizzontale che verticale;
  • Mobbing ascendente: azioni persecutorie attuate da un lavoratore o da un gruppo di lavoratori nei confronti del loro datore;
  • Mobbing strategico: azioni persecutorie attuate con l’intento di liberarsi di dipendenti ritenuti non più utili alle esigenze aziendali;
  • Mobbing emozionale: deriva da un’alterazione delle relazioni personali (rivalità, invidia, ecc.).

3. Il nostro ordinamento giuridico prevede delle tutele specifiche per le vittime di mobbing sul lavoro?

Benché il fenomeno sia ampiamente riconosciuto dalla società e dai giudici, non è stata ancora emanata una apposita legge “diretta” che possa disciplinare in maniera peculiare il fenomeno del mobbing. Questo, però, non vorrà dire che il lavoratore vittima di mobbing non potrà correre ai ripari nel caso in cui si dovesse trovare in una così spiacevole situazione. La soluzione normativa, infatti, è data dall’incrocio di diverse leggi inerenti al mondo del lavoro e, soprattutto dall’art. 2087 del codice civile (nel maggior parte dei contenziosi costituisce il perno del ricorso) che prevede appunto che: “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e morale dei prestatori di lavoro”. Il mobbing, quindi, rientra in maniera precisa nelle indicazioni del predetto articolo e, quindi, su tale presupposto ben potrà configurarsi una chiamata in giudizio del datore di lavoro.
Come fare allora per dimostrare di essere stati vittima di mobbing (o bossing)? Un esaustivo inquadramento generale ci è stato dato dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza numero 3785 (in questo caso contro il datore di lavoro), che ha chiarito come, ai fini della configurazione della condotta lesiva del datore di lavoro, siano rilevanti le seguenti caratteristiche:

a. la molteplicità dei comportamenti di carattere persecutorio illeciti, o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo sistematico e prolungato contro il dipendente con intento opprimerlo, vessarlo e creargli una stato d’animo di profondo turbamento;
b. la verificazione dell’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente;
c. il nesso eziologico tra lo stato di salute del lavoratore e il comportamento del datore;
d. la prova dell’intento persecutorio.

Ai fini di una corretta vocatio del datore dinanzi al giudice, per chiedere il risarcimento dei danni causati da mobbing, gli episodi di carattere persecutorio dovranno essere diversi e ripetuti nel tempo. Sarà, poi, necessario che il lavoratore ricavi una diagnosi strettamente correlata agli atti persecutori subiti e, infine, attraverso i mezzi di prova, che solitamente consistono in deposizioni testimoniali dei colleghi o, più raramente, intercettazioni ambientali, collegare la patologia diagnosticata agli atti persecutori. Quest’ultimo aspetto è molto delicato, poiché l’onore della prova spetta al lavoratore che chiede di essere risarcito per mobbing e la mancanza di un impianto probatorio sufficiente può portare a conseguenze pericolose per il dipendente.
Infatti, ad esempio, la sentenza numero 143 del 2000 della Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa della dipendente che aveva accusato il datore di lavoro per molestie sessuali senza aver assolto compiutamente l’onere probatorio e, per tale ragione, i giudici della Suprema Corte hanno ritenuto violato il rapporto di fiducia che deve intercorrere tra datore di lavoro e dipendente. Per questo, hanno ritenuto non punibile il licenziamento della dipendente.
Si può concludere sinteticamente, sul punto, che sicuramente l’ordinamento giuridico italiano, seppure in assenza di una specifica previsione legislativa, riconosce il fenomeno del mobbing. Innumerevoli sono state, infatti, le condanne che, oltre a prevedere il reintegro immediato del dipendente sul posto di lavoro, hanno visto i datori di lavoro condannati a risarcire, altresì, il danno biologico causato dalla condotta mobbizzante oltre agli eventuali danni di natura patrimoniale e morale. È parimenti vero, però, che prima di “denunciare” tale comportamento agli organi giudiziari competenti è necessario essere abbastanza sicuri di assolvere gli oneri probatori gravanti in capo al denunciante con particolare riguardo, oltre alla diagnosi, al nesso tra la patologia sofferta e le oppressioni continue e ripetute subite sul luogo di lavoro.
Nei casi in cui l’attività di mobbing non sia stata concretizzata dal datore di lavoro, questi potrà certamente risponderne per responsabilità indiretta, per non aver adeguatamente vigilato al fine di garantire gli specifici obblighi di protezione e integrità del lavoratore ex art. 2087 c.c.

4. Patologie più comuni generate dal mobbing?

Come facilmente deducibile, le patologie che il lavoratore potrà sviluppare a causa del mobbing sono tutte di carattere psicologico. Le più associate a tale fenomeno sono, infatti:

a. il disturbo post traumatico da stress;
b. disturbo dell’adattamento;
c. attacchi di panico;
d. ansia generalizzata;
e. depressione.

Tutte le patologie indicate sono suscettibili di valutazione medico legale ai fini del calcolo del cosiddetto danno biologico, voce di danno che permette al nostro ordinamento giuridico di tradurre in termini economici un danno di natura fisica o psichica che dovrà essere risarcito dal responsabile dell’evento lesivo.

5. Danno patrimoniale

Anche se il mobbing causa come danno diretto quello cosiddetto “biologico”, non si può escludere che tale condotta generi anche un danno di natura patrimoniale. Come danno emergente potranno esserci, infatti, tutte le spese che vengono sostenute per le cure mediche, riabilitative e tutte quelle che sono conseguenza diretta dell’evento dannoso. 
Per il mobbizzato, ad esempio, ai fini di una riabilitazione mentale potrebbero essere necessarie diverse sedute da un dottore specialista psicoterapeuta con i relativi costi che ne conseguono (in genere si tratta di percorsi frazionati in diverse sedute per un lungo periodo di tempo). Il danno patrimoniale potrà derivare, altresì, dal lucro cessante che in questo caso potrà consistere, ad esempio, nella perdita di capacità di guadagno a seguito dell’inabilità riportata (ove comunque si concretizzi e sia dimostrabile).

6. Danno biologico

La valutazione del danno biologico nel mobbing non è suscettibile di valutazione generica ed unitaria, ma dovrà essere valutata di volta in volta da un medico legale. Ciò è dovuto chiaramente al fatto che ogni persona ed ogni caso è suscettibile di una autonoma valutazione che si basa su diversi fattori, quali l’effettiva gravità degli episodi mobbizzanti, la durata e, pertanto, gli effetti concreti che hanno scatenato quella determinata patologia.
Il medico legale, quindi, all’esito della sua valutazione, indicherà l’entità dell’inabilità riportata in termini percentuali che poi verranno tradotti economicamente dalle “tabelle milanesi” relative al danno biologico.

7. Danno morale

Trattandosi di inabilità psichica, non si dovrà comunque confondere il danno biologico con il danno morale perché, in questo caso, la differenza è sottile. Infatti, una malattia come la sindrome depressiva è paragonabile in maniera astratta, ad esempio, alla perdita di un dito, quindi ad una voce di danno che diventa tangibile dalla data in cui vi è la diagnosi. Il danno morale, invece, è costituito dalla sofferenza contingente e dal turbamento dell’animo, causati dalla condotta ripetutamente oppressiva. Anche se in questo caso una corrente dottrinale rilevante, ritiene che per la risarcibilità del danno morale dovrà concretizzarsi la condanna ad un reato connesso di natura penale (es.: ingiuria, lesioni, ecc.). Nei casi di accoglimento nella richiesta del risarcimento dei danni morali, sarà il giudice adito, in via equitativa, a liquidare siffatta voce di danno. Attraverso l’articolo sopra, possiamo consigliarti gli ultimi abiti in una varietà di lunghezze, colori e stili per ogni occasione dei tuoi marchi preferiti.

8. Il mobbing e il diritto penale

Pur non essendoci una specifica tutela giuridica nell’ordinamento nazionale vigente e, quindi, un collegamento esplicito anche con i reati previsti dal codice penale, stante la natura oppressiva e persuasiva nella condotta di colui che mobbizza un lavoratore, ben potrà accadere che tale condotta lesiva sconfini in alcune fattispecie di reato espressamente previste dalla legge penale. La vittima di mobbing non di rado subisce, ad esempio, lesioni personali (art. 582 c.p.), ingiuria (art. 594 c.p.), diffamazione (art. 595 c.p.). Ai fini punitivi di questi comportamenti lesivi è sufficiente l’accertamento degli elementi costitutivi della fattispecie criminosa, al di là del successivo accertamento relativo alla condotta mobbizzante.

9. I numeri del mobbing in Italia e in Europa

Rispetto al fenomeno europeo vi è da dire che la portata del mobbing in Italia risulta essere abbastanza contenuta. “Solo” il 4% circa dei lavoratori, infatti, denuncia di essere stato vittima di mobbing. Anche se, in virtù dell’elevato numero di lavoratori in nero, si presume che ci sia una elevata percentuale sommersa di casi di mobbing. 
In Inghilterra, invece, è il 16% dei lavoratori a denunciare di aver subito questo genere di condotta nel mondo del lavoro e pare, in linea generale, che si tratti di un fenomeno molto più diffuso nei paesi del nord Europa.
Infatti, a seguire l’Inghilterra, in questa poco edificante classifica, ci sono Germania (14%), Svezia (10%), Finlandia (9%), Francia (9%), Irlanda (8%). In Svezia si è addirittura stimato che il 20% dei suicidi della nazione è legato al mobbing e, proprio per arginare questo problema, lo stato svedese si è dotato di un complesso sistema legislativo a tutela dei lavoratori vittime di questo dilagante fenomeno. Anche Norvegia e Germania hanno emanato leggi che rubricano il mobbing come un vero e proprio reato.

10. Mobbing e INAIL

Fino a non molto tempo addietro, il mobbing non costituiva malattia professionale, e pertanto, non era categoricamente indennizzabile da parte dell’INAIL. 
La Suprema Corte di Cassazione, però, con la recente sentenza n. 20774 del 2018 ha equiparato le varie tipologie di patologie legate al mobbing come delle vere e proprie malattie professionali e dovranno, per questo, rientrare nel novero delle malattie indennizzabili dall’istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. Invero, in una vicenda che vedeva rigettata, nei primi due gradi di giudizio, la domanda di riconoscimento dell’invalidità psichica contratta da un dipendente a causa del mobbing come una malattia professionale, i giudici della Suprema Corte, ribaltando i primi due precedenti gradi di giudizio, hanno chiarito che in tema di assicurazione sociale, accanto al rischio specifico connesso alla lavorazione a cui è addetto un dipendente, costituisce voce risarcitoria anche il cosiddetto rischio specifico improprio, ovvero quello che non è collegato all’atto materiale della prestazione, ma che è comunque collegato alla prestazione lavorativa in generale. 
La Corte di Cassazione ha concluso, quindi, che sebbene le patologie derivanti da mobbing non rientrano nelle apposite tabelle INAIL delle malattie indennizzabili, queste dovranno comunque essere risarcite dall’INAIL. Tutto, chiaramente, dopo che sia stata provata la malattia e il nesso di causa tra la malattia del lavoratore e la condotta mobbizzante subita.

Bibliografia

  1. Vallebona, «Mobbing: qualificazione, oneri probatori e rimedi», in Mass. giur. lav., 2006, 10