Il reato di diffamazione

Il reato di diffamazione è rubricato nel libro secondo del codice penale tra i delitti contro la persona. È l’art. 595 del codice penale che prevede e disciplina i parametri punitivi per il caso del reato da diffamazione. Il bene giuridico che il nostro ordinamento penale intende tutelare è l’onore, ovvero la dignità sociale della persona.

1. La previsione normativa

L’art. 595 c.p. prevede, gradualmente, che in base alle modalità di diffusione e al tipo di fatto che viene impropriamente divulgato vi è la previsione di diverse pene detentive oltre che pecuniarie. La norma chiarisce al primo comma che “chiunque, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a € 1.032”.
Al secondo comma del medesimo articolo è previsto un aggravio di pena per l’ipotesi in cui l’offesa arrecata al soggetto passivo consista in un fatto determinato.

1.1. L’influenza della qualifica del soggetto passivo

L’ultimo comma prevede un ulteriore aggravio di pena nel caso in cui il soggetto passivo corrisponda a un corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio.

2. Diffamazione a mezzo stampa

Il caso della diffamazione a mezzo stampa è stato previsto, prima facie, dal terzo dell’articolo 595 c.p. Ad ogni modo, la legge alla quale fare riferimento, per siffatta ipotesi, è la legge che arreca le disposizioni sulla stampa, ovvero la legge n. 47/1948(1) che all’articolo 13 dispone “Nel  caso  di  diffamazione  commessa  col  mezzo   della   stampa, consistente nell’attribuzione di un fatto determinato, si applica  la pena della reclusione da uno  a  sei  anni  quella  della  multa  non inferiore a lire centomila.”
Inoltre, l’articolo 596 bis del codice penale prevede che nell’ipotesi della diffamazione commessa mediante l’utilizzo della stampa le disposizioni previste per tale condotta criminosa, dovranno applicarsi anche nei confronti del direttore o vice-responsabile.

3. Elemento oggettivo: la condotta del diffamante

L’elemento oggettivo del reato di diffamazione consiste La condotta diffamatoria consiste nell’offesa alla reputazione del soggetto passivo, ovvero del diffamato.
Tale condotta diffamante dovrà essere posta in essere in assenza del diffamato. In tal senso, le varie pronunce giurisprudenziali hanno manifestato una sorta di apertura circa la presenza del diffamato, in quanto, persiste comunque il reato di diffamazione nel caso in cui il soggetto passivo sia presente ma, per qualsivoglia motivo non è stato in grado di percepire l’offesa.
Ultimo ed importante requisito strutturale della diffamazione è rappresentato  dal fatto che l’affermazione lesiva dell’altrui reputazione sia stata effettuata in presenza di più persone, ovvero dovrà essere stata divulgata in compresenza di almeno altri due individui.

4. Elemento soggettivo

L’elemento soggettivo del reato di diffamazione è rappresentato dal dolo generico. Per l’esistenza di siffatta specie delittuosa è sufficiente che il colpevole abbia tenuto una condotta offensiva con coscienza e volontà, con la consapevolezza che tale condotta sia lesiva verso il soggetto passivo.

5. Momento di consumazione della diffamazione

La diffamazione si consuma nel momento e nel luogo della divulgazione del fatto lesivo della reputazione, in compresenza di almeno due ulteriori soggetti oltre al diffamante. Anche per questa ipotesi delittuosa è previsto la possibilità che il reato sia solo tentato.

6. Reato di diffamazione e risarcimento

Il reato di diffamazione comporta delle conseguenze anche da un punto di vista civile e, quindi, in materia di risarcimento del danno.
L’articolo 185 del codice penale prevede che ogni reato che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale obbliga al risarcimento il colpevole.
In questo caso, essendo il danno di natura non patrimoniale il predetto articolo dovrà essere connesso all’art. 2059 del codice civile il quale prevede che tale ipotesi di danno dovrà essere risarcita solo nei casi stabiliti dalla legge.
Quando si tratta di diffamazione avvenuta con il mezzo della stampa, è anche l’art. 12 della legge 47/1948(1)  a prevedere in maniera espressa un ristoro dovuto in favore del diffamato.

6.1 Tabella risarcimento del danno da diffamazione secondo l’osservatorio sulla giustizia civile di Milano

Per non lasciare ad un totale apprezzamento del giudice l’entità del risarcimento del danno di volta in volta da applicarsi al caso concreto, l’osservatorio sulla giustizia civile di Milano ha di recente pubblicato un aggiornamento sulla tabella che dovrà tenersi presente in sede giudiziale per la liquidazione del danno causato da diffamazione, che si riporta di seguito:

GravitàCaratteristicheRisarcimento
TenueAssente notorietà del diffamante e dell’offesa, assente risonanza mediatica e intervento riparatorio del convenuto.Da 1.000 euro a 10.000 euro
ModestaModesta notorietà del diffamante e della notizia diffamatoria, e assenza della risonanza mediatica.Da 10.001 euro a 20.000 euro
MediaMedia notorietà del diffamante e gravità delle offese attribuite al diffamato (sia sul piano personale che professionale e significativa diffusione del mezzo diffamatorio.Da 20.001 euro a 30.000 euro
ElevataElevata notorietà del diffamante, uno o più episodi diffamatori di ampia diffusione, eventuale utilizzo di espressioni denigratorie e risonanza mediatica.Da 30.001 euro a 50.000 euro
EccezionaleNon specificatoSuperiore a 50.000 euro

Quindi, tenendo presente il valore del diffamato e la portata divulgativa del diffamante il giudice è dotato di parametri quantitativi entro i quali muoversi per il computo del risarcimento non patrimoniale.

7. Ultime dalla Corte di Cassazione

Non costituisce diffamazione l’esposizione di una legittima doglianza rispetto ad una situazione ritenuta ingiustamente lesiva di diritti o prerogative, laddove si tratti di una consentita interlocuzione tra (e con) soggetti istituzionali, coinvolti nell’ambito di un contesto per sua natura conflittuale. (Fattispecie relativa all’invio da parte di un avvocato, nell’ambito di una procedura esecutiva, di una missiva all’ufficiale giudiziario nella quale si affermava “ritengo che lei abbia sostanzialmente rifiutato di adempiere ai doveri che il suo ufficio le impone” per contestare la attendibilità di un verbale di pignoramento negativo, nella quale la Corte ha escluso che ricorresse l’elemento oggettivo dell’offesa all’onore ed alla reputazione del pubblico ufficiale). (Cass. Sez. V, sentenza del 3 aprile 2020 n. 11294)

In tema di diffamazione, l’esimente del diritto di critica postula una forma espositiva corretta, strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell’altrui reputazione, ma non vieta l’utilizzo di termini che, sebbene oggettivamente offensivi, siano insostituibili nella manifestazione del pensiero critico in quanto non hanno adeguati equivalenti. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto non esorbitante dai limiti della critica legittima l’utilizzo, in una pagina Facebook, dell’epiteto “idiota” nei confronti di un poliziotto, non identificato nominativamente, che aveva sparato dei colpi di arma da fuoco in pieno centro cittadino per arrestare la fuga degli autori di un reato, in quanto l’imputato aveva inteso solo stigmatizzare l’uso eccessivo della forza, sproporzionato rispetto al reato e alle condizioni di tempo e di luogo in cui si era svolto il fatto). (Cass. Sez. V, sentenza del 14 maggio 2020, n. 15089)

Integra il delitto di ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, depenalizzato ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. c), d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, e non il delitto di diffamazione la condotta di chi pronunzi espressioni offensive mediante comunicazioni telematiche dirette alla persona offesa attraverso una video “chat”, alla presenza di altre persone invitate nella “chat”, in quanto l’elemento distintivo tra i due delitti è costituito dal fatto che nell’ingiuria la comunicazione, con qualsiasi mezzo realizzata, è diretta all’offeso, mentre nella diffamazione l’offeso resta estraneo alla comunicazione intercorsa con più persone e non è posto in condizione di interloquire con l’offensore. (Fattispecie in tema di “chat” vocale sulla piattaforma “Google Hangouts”). (Cass. Sez. V, sentenza del 31 marzo 2020, n. 10905).