1. Premessa
Una delle questioni più annose, relativamente alla fine dei rapporti di convivenza c.d. more uxorio attiene alla sorte delle somme versate nel corso della convivenza da entrambi i partner e/o da uno di questi nei confronti dell’altro.
Non è, infatti, infrequente che dopo l’interruzione della convivenza, uno degli ex conviventi (a volte entrambi) rivendichi all’altro le somme spese per esigenze personali dello stesso e/o per l’acquisto di beni mobili, tra cui l’arredamento della casa, rimasti in godimento a quest’ultimo. Si tratta, nello specifico, di appurare la linea di demarcazione tra quelle somme riconducibili ai bisogni dei conviventi ed ispirate ai doveri di solidarietà tra gli stessi, si pensi alle somme spese per il c.d. ménage domestico, e le somme esulanti da tali necessità e riguardanti esigenze di natura prettamente patrimoniale e/o personale, tra cui si annoverano i prestiti di denaro tra conviventi. Infatti, solamente quest’ultime somme potrebbero essere richieste da parte del convivente “creditore”.
Prima di dipanare tale questione è bene verificare, ancorché succintamente, il regime patrimoniale dei conviventi c.d. more uxorio.
2. Regime patrimoniale dei conviventi c.d. more uxorio
La principale problematica, relativa alle questioni economiche conseguenti alla rottura della convivenza more uxorio, attiene al fatto che il Codice Civile, a differenza di quanto prevede per i coniugi legati da vincolo matrimoniale, non regola il regime patrimoniale dei conviventi di fatto, non formandosi in via automatica, tra gli stessi, la c.d. comunione patrimoniale dei beni.
Per i conviventi la comunione dei beni è solo opzionale e non ha il carattere di regime legale. Il regime legale è invece rappresentato dal non-regime costituito dalla titolarità esclusiva del proprio patrimonio, cioè l’«ordinaria situazione di appartenenza individuale dei beni».1
Una modifica al suddetto regime è stata introdotta da La legge Cirinnà, n. 76/2016, che ha previsto la possibilità per i conviventi di fatto, al ricorrere di alcune circostanze descritte in maniera specifica dalla suddetta legge, di stipulare un contratto di convivenza.
A tal uopo, il comma 50 dell’art. 1 della legge n. 76/2016 prevede che: “I conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza”.
Si deve, peraltro, sottolineare che le stringenti previsioni dalla legge Cirinnà previste per la stipula del suddetto contratto di convivenza2, lo hanno reso uno strumento di scarsa applicazione pratica, restando i noti problemi economici di cui alle premesse, così come i relativi mezzi di tutela, problematica concreta in caso di controversia.
3. Presunzione relativa e onere probatorio
Fatte le doverose premesse di ordine generale, occorre ora approfondire un ulteriore questione, di non trascurabile importanza, al fine di delineare il diritto del convivente alla restituzione delle somme versate all’altro in corso di convivenza, per bisogni esulanti il ménage domestico.
Orbene, vige in subiecta materia una presunzione relativa, c.d. iuris tantum, secondo la quale le somme versate dai conviventi nel corso della convivenza, salvo prova contraria, sarebbero riconducibili a doveri di solidarietà rientranti nell’adempimento di obbligazioni naturali ex art. 2034 del c.c.
Infatti, le convivenze more uxorio, quali formazioni sociali rilevanti ai sensi dell’art. 2 della Costituzione, sono caratterizzate da doveri di natura morale e sociale di ciascun convivente nei confronti dell’altro, che si esprimono anche nei rapporti di natura patrimoniale, attuabili sotto forma di elargizioni in denaro, non ripetibili e non coercibili secondo la disciplina delle obbligazioni naturali.
Come noto, ai sensi dell’art. 2034 c.c., le obbligazioni naturali sono particolari tipi di obbligazioni in quanto sorgono da specifici doveri morali o sociali.
Quest’ultime trovano la loro ratio nei doveri di carattere morale o sociale, giuridicamente rilevanti, tra i quali si annoverano le somme oggetto del rapporto di convivenza.
La sussistenza di tale vincolo, dal punto di vista giuridico, ha l’effetto di rendere irripetibili gli esborsi effettuati da uno dei conviventi per sopperire alle necessità dell’altro, integrando l’adempimento di un’obbligazione naturale ex art. 2034 c.c.3
Ne consegue, come sancito dalla maggioritaria Giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, che “le attribuzioni patrimoniali a favore del convivente “more uxorio” effettuate nel corso del rapporto (nella specie, versamenti di denaro sul conto corrente del convivente) configurano l’adempimento di una obbligazione naturale ex art. 2034 cod. civ., a condizione che siano rispettati i principi di proporzionalità e di adeguatezza, senza che assumano rilievo le eventuali rinunce operate dal convivente – quale quella di trasferirsi all’estero recedendo dal rapporto di lavoro – ancorché suggerite o richieste dall’altro convivente, che abbiano determinato una situazione di precarietà sul piano economico, dal momento che tali dazioni non hanno valenza indennitaria, ma sono espressione della solidarietà tra due persone unite da un legame stabile e duraturo” (Sez. 1, Sentenza n. 1277 del 22/01/2014 (Rv. 629802 – 01)).
In ossequio alle suddette indicazioni esegetiche, si evince che le dazioni di denaro tra conviventi dovranno essere, in via di presunzione, qualificate quali obbligazioni naturali ex art. 2034 c.c. e, pertanto, non saranno ripetibili al ricorrere dei requisiti di proporzionalità ed adeguatezza delle somme versate in costanza di convivenza rispetto alle capacità economiche dei conviventi, parametrate al tenore di vita degli stessi nell’ambito del ménage famigliare.
Quanto detto, in tema di riparto dell’onere della prova ex art. 2697 c.c.4, comporta che sarà onere del convivente che intende chiedere la restituzione delle somme provare che le stesse esulassero dai rapporti solidaristici connaturati ai doveri della convivenza.
Sarà, pertanto, a carico di quest’ultimo, l’onere di dimostrare gli elementi costitutivi della domanda: l’avvenuta consegna della somma e il titolo da cui derivi l’obbligo della vantata restituzione.
In mancanza di apposito titolo specifico, secondo giurisprudenza pacifica, la datio di una somma di danaro non vale di per sé a fondare la richiesta di restituzione, “allorquando ammessane la ricezione l’accipiens non confermi il titolo posto ex adverso alla base della pretesa di restituzione ed, anzi, ne contesti la legittimità, posto che, potendo una somma di danaro essere consegnata per varie cause, la contestazione, ad opera dell’accipiens, della sussistenza di un’obbligazione restitutoria impone all’attore in restituzione di dimostrare per intero il fatto costitutivo della sua pretesa, onere questo che si estende alla prova di un titolo giuridico implicante l’obbligo della restituzione, mentre la deduzione di un diverso titolo, a opera del convenuto, non configurandosi come eccezione in senso sostanziale, non vale ad invertire l’onere della prova” (cfr. Cass. n. 9541/2010; n. 6295/2013; n. 9864/2014).
Resta inteso che ove l’onere della prova non verrà assolto sarà privato al convivente il diritto di ottenere la restituzione delle somme versate in costanza di convivenza: “I doveri morali e sociali che trovano la loro fonte nella formazione sociale costituita dalla convivenza more uxorio refluiscono, secondo un orientamento di questa Corte ormai consolidato, sui rapporti di natura patrimoniale, nel senso di escludere il diritto del convivente di ripetere le eventuali attribuzioni patrimoniali effettuate nel corso o in relazione alla convivenza” (Cass. Civ., 15.01.1969, n. 60; Cass. Civ., 20.01.1989, n. 285; Cass. Civ., 13.03.2003, n. 3713; Cass. Civ., 15 maggio 2009, n. 11330).
4. Conclusioni
Precisato quanto indicato nei paragrafi precedenti, si può affermare che il diritto del convivente ad ottenere la restituzione delle somme versate nel corso della convivenza, esulanti dal menagè domestico, soggiace ad oneri probatori di non sempre agevole percorribilità.
Inoltre, tale diritto risulta sottoposto alla “spada di Damocle” della presunzione relativa che attribuisce, salvo prova contraria, natura solidale alle somme versate in costanza di convivenza. Il tutto, a fortiori, vale quando per la natura e per l’importo, le somme richieste da un ex convivente all’altro siano di modesta entità e possano essere, in via interpretativa, ricondotte alla normale gestione del ménage domestico, nonché rientranti nel dare-avere tra conviventi.
Si pensi, a titolo di esempio, alla prassi di molti conviventi di versare quotidianamente e/o periodicamente esigue somme di denaro su conti correnti cointestati fra gli stessi.
Pertanto, risulta consigliabile, siglare per iscritto il contenuto e la natura dei prestiti relativi alle somme esulanti dai normali rapporti tra conviventi, enucleando il contratto in un’apposita scrittura privata sottoscritta dalle parti, al fine di prevenire difficoltà nell’assolvimento dell’onere probatorio in caso di futuro contenzioso.
Ancor meglio sarebbe la sottoscrizione di un vero e proprio contratto di convivenza, ai sensi della legge n. 76/2016, sottoponendo le condizioni contrattuali al vaglio di un professionista competente, Avvocato o Notaio che ne attestino la conformità alle norme imperative e/o all’ordine pubblico.
Quanto detto, per ovvie ragioni, si rende raccomandabile al fine di tutelare i diritti di entrambi i conviventi che possono prevedere ex ante le condizioni della loro convivenza e, eventualmente, prevenire spiacevoli contenziosi nell’infausta ipotesi di interruzione della convivenza.
1 Cfr. Studio n. 196-2017/C “Comunione legale, contratto di convivenza e circolazione dei beni dopo la legge«Cirinnà»”, Approvato dalla Commissione Studi Civilistici il 24/01/2018.
2 V. art. 50 legge Cirinnà: “sono redatti in forma scritta, a pena di nullità, atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attestano la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico”.
3 V. L’obbligazione naturale, Manuale Torrente – Schlesinger;
4 Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento;