1. Nozione del codice penale
Attraverso il primo comma dell’art. 56 del codice penale viene data una chiara ed esaustiva interpretazione di quello che è il delitto tentato. Esso, infatti, indica che: “Chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato, se l’azione non si compie o l’evento non si verifica”.
Come si evince dall’assunto del predetto comma, quello che dovrà essere oggetto di approfondita analisi, ai fini di una eventuale imputazione di delitto tentato, è la condotta posta in essere dal soggetto agente. Dalla condotta dovrà risultare, infatti, in maniera chiara l’elemento psicologico della volontà di commettere il reato che poi non è riuscito a compiere.
1.1 Esempio
Sono innumerevoli gli esempi di delitto tentato che possono essere riportati. In questa sede si limita a riportarne uno dei più classici, ovvero l’ipotesi di tentato omicidio.
Si pensi, all’evento in cui un soggetto agente provi a sparare, ben nascosto e da una distanza ragguardevole, la vittima designata, senza però riuscire a togliergli la vita.
In questo caso, a seguito della posizione ben nascosta e della distanza notevole, emerge in maniera chiara l’intento di voler uccidere la vittima.
2. Criteri di configurabilità del delitto tentato
Per il nostro ordinamento giuridico, i criteri per la configurazione del delitto tentato sono essenzialmente due, ovvero:
- Univocità degli atti finalizzati alla commissione di un delitto;
- Idoneità degli atti finalizzati alla commissione di un delitto.
Questa tipologia delittuosa corrisponde necessariamente ad un delitto doloso poichè la norma prevede che il soggetto deve agire con atti diretti a compiere un delitto.
2.1 Univocità degli atti
Per univocità degli atti si deve intendere che le azioni preliminari finalizzate al compimento del delitto, siano inequivocabilmente riconducibili ad esso.
2.2 Idoneità degli atti
Altro tratto caratteriale del delitto tentato è rappresentato dall’idoneità degli atti nel compimento di un delitto. Ad oggi, per una valutazione degli atti compiuti dal soggetto agente viene utilizzato il criterio della prognosi postuma, ovvero valutando lo stato mentale del soggetto agente all’inizio dell’attività delittuosa.
3. Desistenza e recesso attivo
La desistenza e il recesso attivo consistono in un atto successivo a quello iniziale volto a dare inizio al compimento del delitto programmato.
In caso di:
- Desistenza il soggetto agente interrompe la condotta delittuosa;
- Recesso attivo il soggetto agente pone in essere una condotta contraria a quella iniziale, in modo da evitare che si generi l’evento criminoso (es. dopo aver rubato un’auto da un parcheggio, a seguito di un ripensamento, la parcheggia nuovamente nel medesimo posto).
Queste di condotte hanno, comunque, un impatto positivo in sede di computazione della pena. A seguito di tali atti, interruttivi della condotta criminale, il soggetto agente potrà addirittura risultare impunito o, comunque, andare incontro ad una riduzione sostanziale della pena (ciò con riguardo all’ipotesi del recesso attivo).