1. Premessa
Nei casi in cui il figlio manifesti il rifiuto di frequentare o di avere contatti con il genitore non convivente, il giudice deve valutare caso per caso se la decisione del figlio è influenzata dal genitore convivente o se è il frutto di una scelta consapevole. Se di tratta di un minore, è sempre necessario valutarne età e maturità, mentre se sia maggiorenne è libero di autodeterminarsi.
Nel caso in cui il giudice rilevasse che il rifiuto di frequentare il genitore sia dovuto all’influenza dell’altro (la cosiddetta sindrome di alienazione parentale), ordinerà la cessazione immediata della condotta – eventualmente anche con l’intervento dei servizi sociali – e a corrispondere il risarcimento danni.
2. Cos’è la sindrome di alienazione parentale?
L’ipotesi di un genitore che influenza le decisioni del figlio di vedere l’altro genitore può concretizzarsi nella sindrome da alienazione parentale.
Con Sindrome di alienazione parentale (PAS) si intende un disturbo che insorge nei figli dopo la separazione o il divorzio dei genitori e che si verifica quando uno dei genitori denigra, offende e mette in cattiva luce l’altro al fine di convincere il figlio a non vederlo più.
3. Il figlio che rifiuta di vedere il genitore: che succede se è minorenne?
In questo caso si prospettano due strade. La prima consiste nell’avviare una consulenza medico-psicologica. È fondamentale che i genitori siano d’accordo nell’avviare questo percorso medico al di fuori delle aule giudiziarie.
Se c’è l’intesa, i genitori si potranno rivolgere a un avvocato che indicherà loro il consulente medico più opportuno, in modo da avviare un percorso terapeutico al fine di valutare le reali ragioni che portano i bambini a rifiutare la frequentazione del padre. Il consulente medico farà una serie di valutazioni sottoponendo il minore a colloqui e test della personalità, e se necessario verranno sottoposti ai medesimi test anche i genitori. All’esito del percorso di valutazione, il consulente medico se ritiene fondato il rifiuto di frequentare il padre dovrà spiegarne le ragioni. Si tratta di casi estremi, come quando, ad esempio, ci sono violenze del padre sui figli.
Al di fuori di tali casi, il consulente medico potrà indicare la soluzione più opportuna per facilitare il riavvicinamento tra i bambini e il genitore. Ad esempio potrà prevedere che la frequentazione avvenga, almeno all’inizio, in presenza di uno psicologo, o indicare un percorso di sostegno e aiuto psicologico per il genitore non convivente, in modo che sappia come avvicinarsi meglio ai bambini che lo rifiutano.
In modo graduale i contatti potranno essere ripresi, con la garanzia di una continua osservazione da parte di specialisti. Gli accordi presi al di fuori delle aule del tribunale dovranno essere presentanti al giudice per ottenerne riconoscimento, in questo modo il padre separato potrà agire in giudizio se non venissero rispettati.
La seconda strada, qualora non sia possibile un accordo tra i genitori, è quella che prevede l’intervento del tribunale per capire i veri motivi per i quali i bambini non vogliono frequentare il genitore.
Il giudice, con l’ausilio dei consulenti medici, dovrà, entro i limiti del possibile, verificare la volontà del bambino.
Se dopo il compimento del dodicesimo anno di età il minore può essere ascoltato in quanto ritenuto capace di intendere e dare spiegazioni, discrezionalmente – in base ad un accertamento sulla capacità di intendere e di volere del minore – potranno essere ascoltati anche bambini di età inferiore.
Quando viene previsto un ascolto diretto dei minori da parte del giudice si devono disporre le cautele, in modo che non siano turbati e siano liberi di esprimersi serenamente.
Se il rifiuto è dovuto a comportamenti della madre che condizionano i figli e la loro volontà, la condotta alienante sarà oggetto di accertamento del giudice e il giudice condannerà il genitore collocatario ad interrompere la condotta e a risarcire l’altro genitore, ove ci siano i presupposti di una lesione morale.
Se il minore è in età adolescenziale e ha tra i 12 e i 15 anni, oppure ha un’età maggiore, ad esempio, 16 o 17 anni, il giudice sarà più propenso a rispettare la sua volontà, essendo il rifiuto di frequentare il padre da parte di un ragazzino adolescente espresso con una capacità di giudizio chiara.
I giudici italiani quando devono affrontare il tema della frequentazione dei figli con il padre separato si rivolgono spesso anche alla giurisprudenza europea. La Corte Europea ha stabilito che ai bambini non possa essere imposto un legame con il genitore che non vogliono frequentare. Il diritto dei figli di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori e quello di costoro nell’avere un rapporto costante con i figli deve essere valutato nel caso concreto (Corte EDU, 17 dicembre 2013, Santilli/Italia; Corte EDU, 29 giugno 2004 Volesky/Rep.Ceca).
4. E se è maggiorenne?
Cosa diversa è se i figli hanno compiuto la maggiore età. In questo caso il giudice non può intervenire e il genitore escluso dovrà rassegnarsi alla scelta del figlio. A 18 anni infatti il figlio acquista la libertà di autodeterminarsi, anche nei riguardi dei rapporti genitoriali e senza che questo vada ad alterare il diritto a percepire l’assegno di mantenimento.
Ciò non toglie che se il giudice verifica che la madre abbia un comportamento ingiustamente denigratorio nei confronti del padre ordinerà di interrompere la condotta.