Bullismo e istigazione al suicidio

Nel 2001 negli USA è uscito un libro intitolato “Bullycide: Death at Playtime”, cha ha dato origine ad un nuovo neologismo: bullycide, appunto. Si tratta di un termine riferito alla vittima che viene spinta al suicidio dopo aver subito episodi di bullismo fisici e/o verbali o di cyberbullismo, attraverso internet e soprattutto il veicolo forte dei social network.
Negli ultimi anni, giornali e telegiornali riportano troppo frequentemente notizie di giovani che non riescono più a sopportare il peso della violenza e delle prevaricazioni dei propri coetanei. Purtroppo, solo come conseguenza di alcuni eclatanti episodi di cronaca si è iniziato a parlare in maniera più concreta e sistematica di “istigazione al suicidio” a valle di atti di bullismo.

1. Bullismo

Il bullismo si manifesta attraverso diversi comportamenti aggressivi, ripetitivi e perpetrati da una o più persone ai danni di un soggetto che non ha gli strumenti per difendersi e che quindi subisce tali atteggiamenti. I giovani che si ritrovano a rivestire il ruolo della vittima sperimentano la sofferenza psicologica e l’esclusione sociale che ne deriva.
Le principali caratteristiche che etichettano un atteggiamento come “bullismo” sono l’intenzionalità del comportamento aggressivo, la sistematicità delle azioni aggressive fino a divenire persecutorie (non basta un singolo episodio) e l’asimmetria di potere tra vittima e persecutore.
Secondo dati ISTAT, circa il 50% degli adolescenti nella fascia di età compresa tra gli 11 e i 17 anni è stata vittima di un episodio offensivo, irrispettoso e/o violento da parte di coetanei.
I comportamenti violenti che caratterizzano il bullismo sono i seguenti:

  • offese, parolacce e insulti;
  • derisione per l’aspetto fisico o per il modo di parlare;
  • diffamazione;
  • esclusione per le proprie opinioni;
  • aggressioni fisiche.

2. Cyberbullismo

Il problema del bullismo è ingigantito dalla rete che consente di abbattere i limiti spazio temporali per attuare gli episodi di violenza. Si arriva dovunque, fin nella sfera domestica e più intima delle persone. Gli strumenti tecnologici rendono più facili le aggressioni: si esclude il contatto diretto con la vittima agendo tramite oggetti inanimati come pc, tablet e telefono che fanno da scudo e che non consentono di percepire l’emozione del soggetto aggredito, la sua sofferenza. Tutto diventa un gioco, uno scherzo. “…lo faccio per ridere” riferiscono molti ragazzi. Nondimeno, chi mette in atto le prepotenze virtuali può mantenere anche l’anonimato con estrema facilità.
Il cyberbullismo è definito come un atto aggressivo, intenzionale condotto da un singolo individuo o da un gruppo, perpetrato attraverso varie forme di contatto elettronico e caratterizzato dalla ripetizione nel tempo ai danni di una vittima prescelta che non può facilmente difendersi.
Rispetto alle aggressioni descritte finora, il cyberbullismo ha caratteristiche identificative proprie: il bullo può mantenere nella rete l’anonimato, ha un pubblico più vasto (il Web), e può controllare le informazioni personali della sua vittima.
La vittima, dal canto proprio, può avere delle difficoltà a scollegarsi dall’ambiente informatico, non sempre ha la possibilità di vedere il volto del suo aggressore e può avere una scarsa conoscenza dei rischi derivanti dalla condivisione delle informazioni personali su Internet.
Proprio per queste maggiori difficoltà, la vittima è più incline a compiere atti davvero tragici.

Tra i segnali che possono aiutare un genitore a capire se il proprio figlio è vittima di cyberbullismo ci sono:
– utilizzo eccessivo di internet;
– comportamenti diversi dal solito;
– lunghe chiamate telefoniche ed omissione dell’interlocutore;
– disturbi del sonno e dell’alimentazione;
– disturbi psicosomatici (mal di pancia, mal di testa, ecc);
– mancanza di interesse in occasione di eventi sociali che includono altri studenti.

3. I reati collegati al bullismo

Le condotte dei bulli sono sempre violente anche se non necessariamente esplicite. Non sono però sempre penalmente rilevanti (si pensi ai comportamenti omissivi) e anche quando lo sono, integrano spesso reati non gravi: e questo, per la valenza simbolica, offensiva della libertà e dignità individuale in cui si traducono, non è di una gravità da sottovalutare.
Molte condotte che vengono poste in essere a scuola e che producono un danno non vengono neppure identificate dagli insegnanti come “bullismo” e il più delle volte non hanno alcuna rilevanza sotto il profilo giuridico in quanto si estrinsecano in atti di inciviltà e indisciplina non perseguibili direttamente dalla autorità giudiziaria.
Altre condotte, invece, per la gravità, il pericolo e il danno che producono si qualificano come vere e proprie ipotesi di reato. In questi casi, l’atto di bullismo dà vita a due processi, penale e civile (che possono essere unificati soltanto se l’autore dell’illecito è maggiorenne).
Nel caso di minori, il processo civile è a carico di chi ha la loro responsabilità.

I reati possono configurare il bullismo sono molteplici a seconda di come si esprime il comportamento dell’autore. Tra questi:

Il sospetto che talune azioni di bullismo costituiscano reato non sfiora minimamente la mente del personale scolastico, che trascura spesso di denunciare all’autorità di polizia o giudiziaria i fatti che concretizzano reati perseguibili d’ufficio.

4. Istigazione al suicidio

Perché si possa parlare di istigazione al suicidio, la volontà di compiere tale gesto estremo deve essere stata effettivamente determinata/rafforzata/agevolata dall’agente. L’articolo 580 del codice penale individua tre distinte condotte, egualmente punite:

  • determinare altri al suicidio, vale a dire far sorgere in un individuo il proposito di suicidarsi, prima inesistente;
  • rafforzare l’altrui proposito di suicidio, ossia incentivare colui che ha già l’intenzione di suicidarsi al compimento dell’azione ed infine agevolarne l’esecuzione,
  • collaborare, in maniera attiva o omissiva, alla effettiva realizzazione del proposito, attraverso un comportamento di ausilio consistente, ad esempio, nella messa a disposizione di mezzi o nella rimozione degli ostacoli che si frappongono alla realizzazione del proposito di morte.

Nel caso in cui il genitore, sospetti che il figlio sia vittima di episodi di bullismo o di cyberbullismo, è opportuno che si confronti con gli insegnanti e ricerchi un aiuto psicologico professionale.
Nel caso in cui le condotte dei cosiddetti “bulli” dovessero tradursi in uno dei reati sopra menzionati è invece consigliato rivolgersi ad un avvocato per capire quali azioni possono essere intentate per tutelare il benessere psico-fisico del figlio ed evitare di arrivare al concretizzarsi di un’ipotesi tragica, qual è quella del gesto estremo di togliersi la vita