1. Introduzione
Con il termine autonomia negoziale ci si riferisce al potere costituzionalmente riconosciuto a soggetti giuridici di intrattenere rapporti vincolanti.
Si tratta di un diritto che tradizionalmente regola i rapporti tra soggetti privati ai quali è riconosciuta la facoltà di scegliere se, come, quando in che modo e con chi stipulare un determinato accordo giuridico con i relativi effetti che da questo derivano.
Dunque, si riconosce, in questo senso, alle parti, ampia libertà con riferimento all’apposizione di clausole, nei limiti di quanto consentito dalla legge.
2. Autonomia negoziale tra pp.aa.
Nel diritto amministrativo, l’autonomia negoziale delle pp.aa. è ormai pacificamente ammessa attraverso il richiamo all’art. 1 co. 1 bis L. n. 241/1990. In questo senso, si fa riferimento, infatti, all’attività iure privatorum della p.a., opposta a quella iure imperii (quest’ultima riferita all’esercizio di poteri autoritativi).
In questi termini, quindi, il legislatore riconosce alle pp.aa. il potere di stipulare accordi giuridicamente vincolanti.
Così ricostruita l’autonomia negoziale, è necessario chiedersi quali siano i limiti alla stessa; in altri termini è necessario analizzare fino a che punto questa può espandersi.
Questo perché, nonostante il richiamo dell’art. 1 co. 1 bis L. n. 241/1990, la p.a. non può mai essere equiparata ad un soggetto privato, in quanto la stessa è sempre tenuta, sia che agisca iure imperii sia che agisca iure privatorum, al rispetto dei principi scolpiti dall’art. 1 co. 1 bis L. n. 241/1990 e ai principi non scritti.
In primo luogo, ci si è chiesti se possa essere riconosciuta la facoltà alla p.a. di stipulare contratti atipici con soggetti privati.
La risposta è affermativa, dovendosi ritenere superato l’orientamento tradizionale, saldamente ancorato al principio di legalità. Va precisato che tali contratti dovranno comunque essere sottoposti al giudizio di meritevolezza ex art. 1322 co. 2 c.c.
Un secondo quesito si è posto con riferimento alla possibilità di agire iure privatorum tra più pp.aa.
Anche in questo caso la risposta non può che essere positiva, alla luce di quanto previsto ex art. 15 L. n. 241/1990.
Tale disposizione normativa riconosce al co. 1, infatti, la possibilità alle pubbliche amministrazioni di concludere tra loro “accordi per disciplinare lo svolgimento di attività di interesse comune”.
Il successivo co. 2 ne individua poi la disciplina, tramite il richiamo all’art. 11 rubricato “accordi integrativi e sostitutivi del provvedimento”, facendo espresso riferimento ai soli commi 2 e 3 dello stesso art. 11 su citato.
Dal combinato disposto di tali riferimenti normatici emerge quindi che le pp.aa. debbano redigere l’accordo in forma scritta a pena di nullità, salvo che la legge disponga altrimenti e che gli stessi sono soggetti ai controlli previsti in materia di emanazione di provvedimenti.
Il co. 2 riconosce, altresì, ove non diversamente previsto, l’applicabilità delle norme civilistiche in materia di contratti e obbligazioni.
3. Il mancato richiamo del co. 4 ex art. 11 L. n. 241/1990
Da quanto fin qui esposto, è possibile notare il mancato richiamo al co. 4 dell’art. 11, che disciplina il recesso unilaterale da parte della p.a. in caso di sopravvenuti motivi di interesse generale.
Proprio tale mancato richiamo, ha quindi fatto sorgere il dubbio circa la possibilità per le pp.aa., nell’ambito di rapporti reciproci, di poter apporre ai contratti la clausola di recesso.
Dunque, ancora una volta, sarà necessario indagare i limiti dell’autonomia negoziale.
Il potere di recesso è disciplinato dall’art. 1373 c.c., il quale riconosce ad una delle parti la possibilità di sciogliersi dal vincolo contrattuale unilateralmente, salvo che il contratto non abbia avuto un principio di inizio.
Il diritto di recesso, così come disciplinato dal codice civile, è un potere il cui esercizio dipende o da una clausola apposta al contratto (su base volontaria) o da un’espressa previsione normativa (su base legale). A tal proposito si può fare riferimento alla disciplina del codice del consumo ex D. Lgs. n. 206/2005.
Posto che quindi è un potere pacificamente ammesso nei rapporti tra i privati, per espressa previsione normativa, ci si deve chiedere in che termini questo può atteggiarsi nei rapporti che coinvolgono le pp.aa.
Volendo rimanere fedeli al dato normativo, sarebbe possibile riconoscere senza remore l’esercizio di tale potere anche alla p.a.
Tanto è vero che si tratta di un potere ammesso non solo dal co. 4 ex art. 11 L. n. 241/1990, ma riconosciuto anche dall’art. 21 sexies L. n. 241/1990 e dal codice degli appalti pubblici, D. Lgs. n. 50/2016.
Alla luce di ciò, si può affermare che si tratta di un potere ammesso anche nel caso di rapporti tra p.a. e privato.
Il problema da risolvere riguarda l’ammissibilità di una clausola che riconosce il potere di recesso nei rapporti tra pp.aa., dunque tra due soggetti pubblici che agiscono iure privatorum; in più ci si può chiedere nel caso in cui questa venga apposta, quali conseguenze determina.
Secondo un orientamento, nonostante il mancato richiamo al co. 4, la p.a. potrebbe comunque recedere dal contratto esercitando il potere di autotutela nelle forme previste dalla L. n. 241/1990.
In questo caso, l’apposizione della clausola non avrebbe conseguenze sul contratto, perché sarebbe idonea ad esplicare li effetti per i quali è preposta.
Secondo un’altra impostazione legata alla lettera della norma, bisognerebbe escludere tale facoltà, dovendo ragionare accogliendo la concezione sostanziale del principio di legalità.
Dunque, nel caso di ripensamento da parte di una p.a. contraente, la soluzione sarebbe o quella di sciogliere il contratto per mutuo dissenso e ricorrere al g.a. ex art. 133 c.p.a.
Accogliendo tale impostazione, la clausola che prevede il potere di recesso sarebbe invalidata per violazione di legge.
Questa tesi sembra essere anche in linea con la tutela del legittimo affidamento ingenerato nei confronti dei privati rispetto all’agire amministrativo, che deve essere sempre improntato al perseguimento dell’interesse pubblico generale.